Più di un miliardo di utenti su TikTok. Ma i problemi restano

AGI – L’irresistibile ascesa di TikTok, da applicazione di nicchia per la condivisione di video a colosso globale dei social media, ha comportato numerosi controlli, in particolare per i suoi legami con la Cina. Diversi governi hanno bandito l’applicazione dalle loro apparecchiature per timore che i dati potessero essere visualizzati dai funzionari di Pechino, e gli Stati Uniti stanno ora cercando di costringere la società madre cinese ByteDance a vendere la sua preziosa risorsa.

TikTok è quindi uno strumento di spionaggio per Pechino, un’applicazione divertente per la condivisione di video o entrambe le cose? L’azione globale contro TikTok è iniziata seriamente in India nel 2020. È stata una delle app cinesi bloccate dopo gli scontri al confine tra India e Cina, con New Delhi che ha dichiarato di voler difendere la propria sovranità.

Lo stesso anno, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha minacciato un divieto e ha accusato TikTok di spiare per la Cina, un’idea che ha preso piede velocemente a Washington.

TikTok ha ammesso che i dipendenti di ByteDance in Cina hanno avuto accesso ai dettagli degli account americani, ma ha sempre negato di aver consegnato i dati alle autorità cinesi. L’azienda ha cercato di placare i timori sui dati negli Stati Uniti e nell’Unione Europea, promettendo di archiviare i dati degli utenti locali su server locali.

Ma il governo federale statunitense e la Commissione europea hanno entrambi vietato l’applicazione dai dispositivi dei loro dipendenti. E gli Stati Uniti stanno spingendo ancora di più, minacciando di vietare del tutto l’applicazione a meno che TikTok non si separi da ByteDance – facendo eco alla minaccia fatta da Trump.

I divieti non hanno fermato la crescita di TikTok

Con oltre un miliardo di utenti attivi, è la sesta piattaforma ‘social’ più utilizzata al mondo, secondo l’agenzia di marketing We Are Social. Sebbene sia in ritardo rispetto a Facebook, WhatsApp e Instagram, il trio di Meta, da sempre dominante, la sua crescita tra i giovani è di gran lunga superiore a quella dei concorrenti.

Secondo l’agenzia Wallaroo, quasi un terzo degli utenti di TikTok ha tra i 10 e i 19 anni. La sua rapida ascesa l’ha vista accaparrarsi più di 11 miliardi di dollari di entrate pubblicitarie l’anno scorso, una cifra triplicata in un solo anno. I concorrenti di TikTok hanno rapidamente copiato il suo formato video breve e lo scorrimento continuo, ma con scarsi risultati. Le funzioni di editing e il potente algoritmo di TikTok l’hanno mantenuta all’avanguardia, attirando un esercito di creatori e influencer. Un algoritmo però che per molti è ritenuto poco trasparente.

In alcuni casi, infatti, i dipendenti di TikTok e ByteDance hanno aumentato manualmente il numero di visualizzazioni di determinati contenuti, eventi o personaggi: avrebbero incrementato i contenuti relativi ai Mondiali di calcio dello scorso anno o il debutto di Taylor Swift sulla piattaforma. TikTok ha dichiarato che la promozione manuale riguarda solo una minima parte dei video consigliati.

L’app è regolarmente accusata di diffondere disinformazione, di mettere in pericolo gli utenti con video “di sfida” pericolosi e di non fare abbastanza per bloccare contenuti di tipo pornografico, anche se il suo regolamento vieta la pubblicazione di nudità. 

L’Agenzia France-Press (AFP), insieme a un’altra dozzina di organizzazioni dedite al fact-checking, viene pagata da TikTok per individuare e verificare i video che potenzialmente possono contenere informazioni false. Fake-news che, se dovessero essere confermate come tali, comportano la rimozione dei video dalla stessa piattaforma. 


Più di un miliardo di utenti su TikTok. Ma i problemi restano

In arrivo le lenti a contatto intelligenti per entrare nella realtà virtuale

AGI – Un team di ricercatori dell’Università nazionale di Scienza e tecnologia di Ulsan (UNIST) ha sviluppato una tecnologia innovativa per le lenti a contatto intelligenti, in grado di implementare la navigazione basata sulla realtà aumentata (AR) attraverso la stampa 3D. Questo risultato è stato pubblicato a febbraio 2023 sulla rivista scientifica Science Advanced ed è stato condotto dal professor Im Doo Jung del Dipartimento di Ingegneria Meccanica dell’UNIST e dal dottor Seung Kwon Seol del team di ricerca Smart 3D Printing presso l’Istituto di Ricerca sulla Elettrotecnologia della Corea (KERI).

Con l’avvento dell’era del Metaverso, si prevede che le tecnologie di realtà virtuale (VR) e realtà aumentata (AR) possano migliorare la convenienza nella vita quotidiana, così come la produttività dell’industria. Tuttavia, i dispositivi AR esistenti presentano alcuni svantaggi, come il prezzo elevato, la tecnologia sperimentale e l’aspetto ingombrante che ne ostacolano la commercializzazione.

Al contrario, le lenti a contatto intelligenti offrono i vantaggi di essere convenienti ed economiche, in quanto possono essere indossate all’interno dell’occhio di una persona come una lente a contatto normale. L’utilizzo di materiali elettrocromici ad alta efficienza energetica, come il blu di Prussia (PB), è stato identificato come una soluzione possibile per la realizzazione di display per le lenti a contatto AR.

Tuttavia, la micro-patterning del PB sulla lente a contatto e’ stata identificata come un problema tecnico da superare. Per risolvere questo problema, il team di ricerca ha sviluppato una strategia di stampa semplice ed efficace per produrre micro-patterns di PB utilizzando un’inchiesta acido-ferrico-ferricianide composta da FeCl3, K3Fe(CN)6 e HCl, guidata dal menisco.

Inoltre, il team di ricerca ha dimostrato con successo il funzionamento della navigazione basata sull’AR attraverso la realizzazione di un display EC basato su PB in una lente a contatto intelligente. Il dispositivo è stato in grado di visualizzare le indicazioni stradali in tempo reale sulla lente a contatto AR, ricevendo le coordinate GPS dell’utente. La tecnologia sviluppata dal team di ricerca dell’UNIST apre nuove prospettive per lo sviluppo di lenti a contatto AR con display EC a basso consumo energetico e costi accessibili.

Il loro metodo di stampa di micro-patterns di PB rappresenta un importante passo avanti nella realizzazione di dispositivi funzionali con micro-patterns di PB elettrocromici. La loro tecnologia è stata riconosciuta come eccellente dalla comunita’ accademica ed è stata pubblicata sulla copertina della rivista Advanced Science.


In arrivo le lenti a contatto intelligenti per entrare nella realtà virtuale

TikTok proteggerà i dati degli utenti europei in una “enclave”

AGI – TikTok corre ai ripari e dopo la richiesta di disinstallare l’app dagli smartphone di servizio della Commissione europea e la prospettiva che accada lo stesso con quelli della pubblica amministrazione in Italia, annuncia un progetto per tutelare i dati degli utenti del Vecchio continente.

Il sistema, denominato Clover, creerà un’enclave europea autonoma per i dati degli utenti TikTok del Regno Unito e dello Spazio economico europeo. “Introdurrà” dice l’azienda, “numerose nuove misure volte a rafforzare il già esistente sistema di protezione dei dati”.

Sulla base dell’approccio alla sicurezza dei dati adottato negli Stati Uniti, TikTok potenzierà gli attuali controlli sull’accesso ai dati introducendo nuovi gateway di sicurezza che consentiranno l’accesso dei dipendenti ai dati degli utenti TikTok britannici ed europei e il loro trasferimento. “Oltre a essere conforme alle attuali normative in termini di protezione dei dati, ogni accesso ai dati dovrà quindi passare sia prima attraverso questi gateway di sicurezza sia superare ulteriori controlli” si legge in una nota.

TikTok inoltre nominerà come partner una terza parte europea specializzata in materia di sicurezza dei dati, che si occuperà della supervisione e del processo di audit sui controlli e la protezione dei dati, che ne monitorerà il flusso e fornirà verifiche indipendenti e reportistica sulle eventuali anomalie.

A complemento del data center europeo di Dublino annunciato lo scorso anno, oggi TikTok ha confermato i dettagli rispetto ai due nuovi siti: un secondo data center a Dublino e un terzo nella regione di Hamar in Norvegia. Quest’ultimo funzionerà utilizzando energia rinnovabile al 100%. TikTok ha già iniziato a conservare i dati degli utenti europei in Irlanda e prosegui il processo nel 2023 e 2024. Una volta completato, i tre data center saranno i siti di conservazione per i dati degli utenti TikTok europei grazie a un investimento annuale totale pari a 1,2 miliardi di euro. 


TikTok proteggerà i dati degli utenti europei in una “enclave”

L’arena degli smartphone pieghevoli si fa sempre più affollata

AGI – L’avevamo detto: la prossima sfida nel mondo della telefonia è a colpi di pieghevoli e l’uscita sul mercato a breve distanza dei flip di Samsung e di Oppo era solo un assaggio della battaglia prossima ventura, alla quale ora si unisce anche un altro brand di rilievo: Honor.

Al  Mobile World Congress 2023 la casa cinese nata come spin-off di Huawei e diventata indipendente dopo il ban di Google, ha presentato il suo pieghevole. Non si tratta di una novità ma di un debutto, perché il Magic Vs è già disponibile in patria, e quello al MWC segna la volontà dell’azienda di riprendersi la scena sul mercato europeo, in cui nel 2019 occupava un posto di tutto rispetto. 

Fold vs Flip

Honor si distingue dalle altre case perché punta tutte le proprie carte su un fold invece che su un flip. Magic5 Pro, cioè, si apre a libretto e non a conchiglia e si offre quindi come strumento per un utilizzo professionale. Spesso 12,9 mm (quando è ripiegato) e pesante 267 grammi è dotato di una batteria da 5000 mAh, la più capiente tra gli smartphone pieghevoli di peso inferiore a 270 g oggi disponibili.

A contribuire alla leggerezza è la cerniera senza ingranaggi realizzata con la fusione in un unico pezzo. Il risultato è che il numero di componenti strutturali scende dai 92 della precedente generazione a soli 4. La cerniera è in grado di resistere fino a 400.000 pieghe, il che equivale a più di dieci anni  di utilizzo con 100 pieghe al giorno in linea con gli altri smartphone pieghevoli in formato flip. 

Magic Vs è dotato di un display esterno da 6,45 pollici 21:9 che occupa il 90% del corpo. Quando è aperto offre un’esperienza simile a quella di un tablet, grazie a un display interno da 7,9 pollici con dimmerazione dinamica e altre soluzioni per ridurre gli effetti dell’affaticamento degli occhi. 

L’ambizione è di non rinunciare alle prestazioni del comparto fotografico e per questo la tripla fotocamera posteriore comprende una fotocamera principale IMX800 da 54MP, una fotocamera principale Ultra-Wide & Macro da 50MP e una fotocamera con zoom ottico 3X da 8MP. 

Il ‘motore’ è il Qualcomm Snapdragon 8+ Gen 1 con soluzioni personalizzate per garantire una maggiore durata della batteria. Il sistema operativo è l’ultima versione di MagicOS 7.1 basata su Android 13. 

Non solo pieghevole 

A Barcellona Honor ha dato vita alla sua strategia dual-flagship per il lancio contemporaneo di due top di gamma e ha annunciato la disponibilità anche del Magic5, lo smartphone tradizionale dal quale si aspetta di fare i numeri migliori 

“Magic5 Pro e HONOR Magic Vs, spingono i parametri di riferimento del settore in ogni aspetto dell’esperienza d’uso degli smartphone, in linea con la nostra visione di consentire un approccio alla vita smart per tutti” ha detto George Zhao, ceo di Honor. In buona sostanza progressi in termini di design, display, fotografia e prestazioni, indispensabili per giustificare un prezzo di vendita allineato a quello dei flagship di competitor con una presenza sul mercato più consolidata. 

Il design

Magic5 Pro introduce il sistema Star Wheel Triple Camera, un omaggio ad Antoni Gaudì, caratterizzato da cornici simmetriche a doppia curvatura ultra strette su entrambi i lati ispirate alle curve che si trovano nell’architettura moderna con l’ambizione di combinare arte e tecnologia. 

Il display e la fotocamera

Il display Ltpo da 6,81 pollici vanta uno schermo flottante quad-curvo con tecnologia di miglioramento della luminosità del display e chipset per migliorare la qualità visiva delle immagini in movimento che garantisce, ad esempio, una frequenza di fotogrammi più elevata con un consumo energetico inferiore.

Per alleviare l’affaticamento degli occhi e ridurre i disturbi del sonno, Magic5 Pro vanta una bassa emissione di luce blu e la funzione Dynamic Dimming che simula la luce naturale . Altre caratteristiche innovative per il comfort visivo sono il Circadian Night Display per migliorare la qualità del sonno e il display LTPO per ridurre al minimo lo sfarfallio dello schermo. 

Come sempre il confronto si gioca soprattutto sul sistema di fotocamere e già con il modello precedente Honor ci aveva abituato a performance di livello. È dotato di una tripla fotocamera principale che comprende una fotocamera grandangolare da 50MP, una fotocamera ultra larga da 50MP e un teleobiettivo da 50MP. Un algoritmo ottico computazionale integra la fotocamera, migliora la nitidezza delle immagini con uno zoom da 3,5x a 100x. 

La sicurezza e la privacy

Magic5 Pro è dotato di un sistema di sicurezza sviluppato in collaborazione con Qualcomm, che offre una protezione a livello hardware per i dati degli utenti e di un chipset per le password, i dati biometrici come l’ID del volto e le impronte digitali. 

L’inteligenza artificiale interviene per evitare la dispersione del suono nelle telefonate private e permettere anche a chi si trova in un ambiente affollato ma silenzioso come un ascensore, che le persone vicine non possano percepire chiaramente la voce del chiamante. 

L’energia

Come il comparto fotografico, anche quello energetico resta una discriminante: Magic5 Pro offre un supporto di ricarica a 66W con il cavo e e 50W Wireless ed è dotato di una batteria da 5100 mAh. Anche la versione Lite di Magic5 monta una batteria di lunga durata, un display curvo oled da 6,67 pollici e un chipset Qualcomm Snapdragon 695 5G.


L’arena degli smartphone pieghevoli si fa sempre più affollata

Per investire nel metaverso servono più regole. I dubbi delle aziende italiane

AGI – Le aziende italiane credono nel metaverso. Il 30% di esse ha già investito o intende investire nell’adozione delle principali tecnologie emergenti (in linea con la tendenza internazionali) e oltre il 40% ritiene che il tasso di crescita medio dei ricavi nel metaverso nei prossimi 10 anni sarà superiore al 40%.

È quanto emerge dal report “Web 3.0: Metaverso e NFT”, realizzato da EY, in collaborazione con il Centro di Ricerca in Strategic Change di Luiss Guido Carli intervistando oltre 100 CEO e top manager di alcune delle più importanti aziende italiane ed estere.

L’obiettivo della ricerca era indagare l’impatto del Web 3.0, con particolare focus sul metaverso e NFT, sulle imprese e le conseguenti sfide e implicazioni di natura giuridica e fiscale. Quello che emerge è il potenziale del Web 3.0 nel modellare i futuri modelli di business delle imprese, ma anche la necessità di una regolamentazione più organica per far sì che possano coglierne appieno le opportunità.

“Gli innumerevoli ambiti di applicazione di Metaverso e NFT fanno sorgere la necessità di implementare nel prossimo futuro una corposa disciplina giuridica” dice Stefania Radoccia, managing partner dello studio legale e tributario di EY, “per fornire certezza a tutte le situazioni giuridiche che si manifesteranno nei mondi virtuali. Necessità evidenziata dal 64% dei manager intervistati che ritengono che i governi debbano fare di più relativamente alla regolamentazione del metaverso e che è dimostrata anche dalla cautela negli investimenti da parte dei CEO intervistati: soltanto il 6% prevede di investire più del 50% del budget a loro disposizione per sperimentazioni nel metaverso”.

Ma cosa serve per garantire una corretta esecuzione di una strategia del metaverso? “È necessario investire nello sviluppo di nuove competenze trasversali” dice Paolo Boccardelli, Direttore del Centro di Ricerca in Strategic Change “Franco Fontana” presso la Luiss University, “in particolare nell’ambito  della blockchain, dei pagamenti elettronici, della cybersecurity, ma anche legale, di analisi del rischio e della  compliance. Il 42% degli intervistati ha evidenziato che è indispensabile investire anche nella formazione dei dipendenti, a riprova dell’importanza del fattore umano per l’applicazione delle tecnologie emergenti e lo sviluppo del metaverso”.

Tuttavia, la propensione è a investire con cautela: solo il 28% degli intervistati intende investire più del 15% del budget nella sperimentazione di nuove soluzioni nel metaverso e il 19% prevede di investire più di 200 mila euro nel corso del 2023 per avviare nuove progettualità e adottare nuove soluzioni nel metaverso.

Non mancano però le critiche, perplessità e dubbi sul Web 3.0, da riscontrarsi in una serie di fattori: la presenza di ingenti costi di investimento affiancati a un’eventuale incertezza dei relativi ricavi; la poca chiarezza circa le reali potenzialità e opportunità associate; la necessità di investire nello sviluppo di nuove competenze e l’assenza di una normativa adeguata. In particolare, il 64% degli intervistati ritiene che i governi dovrebbero ulteriormente regolamentare il mercato, in quanto la normativa vigente non risulta essere completamente adeguata a rispondere ai diversi scenari abilitati dal Web 3.0.

Secondo il 48% del campione, sebbene si tratti di un mercato ancora in fase di espansione, gli NFT offrono un’importante opportunità di crescita dei ricavi e hanno già dimostrato essere una realtà con potenzialità significative in svariati ambiti di applicazione.

In particolare, sono stati individuati tre principali ambiti di applicazione: diritti d’autore, collezionismo e marketing. Al contrario, il 38% degli intervistati non ritengono gli NFT una tecnologia da esplorare e su cui investire, in quanto hanno un mercato troppo volatile e pertanto uno scarso valore aggiunto. Infine, il 14% dei Top manager intervistati evidenzia che la scarsa conoscenza degli NFT li rende non appetibili per effettuare investimenti. 

 


Per investire nel metaverso servono più regole. I dubbi delle aziende italiane

L’arrivo di Alexa negli hotel e la questione della tutela della privacy

AGI – Chi non vorrebbe in albergo un assistente pronto in un attimo a far recapitare in camera lo spazzolino dimenticato a casa o a mandare di corsa un manutentore se la climatizzazione fa le bizze? Ma chi vorrebbe un orecchio indiscreto che ascolta tutto quello che accade e viene detto in quella stanza?

La dicotomia tra efficienza del servizio e tutela della privacy è quello che finora ha tenuto la domotica lontana dagli hotel, con il mai sopito dibattito su quanto siamo disposti a cedere della nostra intimità in cambio di servizi a buon mercato quando non addirittura gratuiti. 

A tentare di superare l’impasse è l’intesa che Amazon offre al mondo dell’hotelerie con il lancio di Alexa Smart Properties for Hospitality che arriva in Italia dopo essere stata sperimentata in Francia e nel Regno Unito.

È la soluzione che Amazon ha messo a punto per consentire agli ospiti delle strutture alberghiere, resort e b&b, di sfruttare l’assistente vocale come un concierge virtuale permettendo agli ospiti, ma soprattutto all’hotel, di semplificare alcune attività.

Gli ospiti possono chiedere di riprodurre musica, avere informazioni sul meteo, e fare il check-out, ma il vantaggio è soprattutto per i gestori che hanno calcolato un risparmio di tempo medio di un’ora e mezzo al giorno sul lavoro. In cosa? Nella disponibilità delle camere, ad esempio. “Il personale adesso usa un registro cartaceo che poi consegna al management per indicare quali stanze sono state rifatte e sono pronte per i prossimi ospiti: un sistema lento e fallace” dice Giammaria Visconti, country manager Alexa, “grazie ad Alexa al personale basta dire che la camera è pronta e inserire la propria password e l’informazione diventa in tempo reale disponibile per il front desk“.

Al di là delle funzionalità per gli ospiti che potranno accedere a informazioni come la password del Wi-Fi, gli orari di apertura del ristorante, del bar o della palestra o richiedere servizi dell’hotel e segnalare un problema di manutenzione, chi ci guadagna davvero in questo progetto? “Gli attori in campo sono tre” continua Visconti, “Amazon Alexa, un service provider che crea una consolle personalizzata e l’hotel. Amazon guadagna con una tariffa che la struttura ricettiva paga in abbonamento”.

Niente ‘pagamento in dati’, quindi. “Nulla viene registrato” assicura Visconti, “viene solo presa nota di quali sono le richieste fatte, per ottimizzare il lavoro. La telecamera di Alexa Echo è disattivata di default e il microfono può essere spento dai clienti. La tutela della privacy è massima e il risparmio in termini di tempo è notevole: basti pensare a una richiesta che arriva direttamente al manutentore senza dover passare per il front desk”. Una nota di colore: tra le 13mila richieste fatte in un mese di ‘messa in prova’ di Alexa nel TH Carpegna Palace Hotel di Roma è, manco a dirlo: “Qual è la password del Wi-fi?”.

Due le aziende italiane certificate da Amazon per personalizzare le consolle per gli hotel: Navoo e Zucchetti Hospitality. 

 

 


L’arrivo di Alexa negli hotel e la questione della tutela della privacy

Addio immunità legale per i giganti del web

AGI – I giganti del web come normali editori, responsabili in solido dei contenuti pubblicati dai loro utenti. Un post su Facebook, o su Twitter, o su Google, potrebbero comportare responsabilità sia penali, sia civili, se la Corte suprema degli Stati Uniti dovesse riesaminare, come farà in questa settimana, la legge che da più di 25 anni protegge le aziende tecnologiche da azioni penali per i contenuti pubblicati. Una revisione che potrebbe rivoluzionare il web e aprire la strada ad azioni risarcitorie in massa.

L’Alta Corte in due udienze, martedì e mercoledì, dovrà esprimersi sulle cause intentate dalle vittime di attacchi jihadisti che accusano Google e Twitter di “aiutare” il gruppo dello Stato Islamico (EI) diffondendone la propaganda. Le sentenze saranno emesse entro il 30 giugno e potrebbero modificare sostanzialmente la legge del 1996 che è considerata un pilastro di internet. Lo spirito della legge infatti escludeva responsabilità oggettive delle piattaforme per evitare che le aggressioni legali potessero intralciarne la crescita. C’era però l’incentivo a rimuovere contenuti considerati “problematici”.

Ma i giganti tecnologici non godono più della stessa considerazione degli inizi e l’immunità accordata finora sembra avere i giorni contati, anche per l’ondata di messaggi razzisti e complottisti che i big del web hanno permesso di circolare liberamente, mentre la destra americana punta l’indice contro la censura per aver bloccato Donald Trump su diversi social network.Per queste divergenze di opinioni, una riforma che partisse da organi legislativi è sempre stata difficile, mentre ora l’intervento della Corte suprema sulla cosiddetta “Sezione 230” appare più probabile. Gli operatori di settore vedono nella prospettiva un “impatto catastrofico”. “Esporre i servizi online a cause legali li esporrebbe a continui reclami”, ha avvertito Meta (Facebook, Instagram, WhatsApp) in un documento inviato alla Corte.

D’altra parte, una trentina di Stati, sia democratici che repubblicani, associazioni di protezione dell’infanzia e di polizia hanno chiesto alla Corte di mettere le aziende di Internet di fronte alle loro responsabilità. Mercoledì l’Alta Corte prenderà in esame un caso che contrappone Twitter alla famiglia di una vittima di un attentato in una discoteca di Istanbul il 1 gennaio 2017, ma pone una questione a parte. Senza entrare nel dibattito sulla Sezione 230, una corte d’appello ha stabilito che il social network potrebbe essere perseguito in base alle leggi antiterrorismo e considerato “complice” dell’attacco perché i suoi sforzi per rimuovere i contenuti del gruppo non sono stati abbastanza “energici”.

Twitter si è rivolta alla Corte Suprema per ribaltare questa decisione. Altrimenti, “ci si chiede cosa potranno fare le aziende per evitare di essere perseguite ai sensi delle leggi antiterrorismo”, hanno scritto i suoi avvocati, “anche se tentassero di rimuovere i contenuti, un querelante potrebbe comunque accusarle di non aver fatto abbastanza”.


Addio immunità legale per i giganti del web

La battaglia dei telefoni pieghevoli è cominciata (finalmente)

AGI – La battaglia dei pieghevoli sembra essere davvero cominciata, finalmente. È pur sempre una scaramuccia in un mercato complessivo – quello degli smartphone – di cui occupa appena l’1%, ma è uno scontro significativo perché di fatto è l’unico segmento in cui le case produttrici facciano vera innovazione.

In un mondo in cui da anni i flagship si danno battaglia puntando sempre sugli stessi elementi – qualità della fotocamera e velocità di ricarica su tutti – i pieghevoli rappresentano al momento l’unica nuova frontiera.

Se si esclude una poco convinta apparizione di Motorola, finora è stato un pascolo esclusivo di Samsung sia per i fold (quelli che si piegano a libro) che per i flip (con la chiusura a conchiglia), ma ora, dopo tre anni di ricerca e quattro prototipi, arriva un contendente determinato: la casa cinese Oppo.

Il Find N2 Flip presentato a Londra è il primo vero tentativo di scalzare il dominio incontrastato dei coreani, dopo quello avviato da Huawei a inizio del 2020 e stroncato dal ban statunitense. Ma tanto impegno in una platea che in Italia conta circa 100 mila pezzi vale l’impresa? Secondo Isabella Lazzini, a capo del marketing di Oppo Italia, sì, soprattutto per una questione di posizionamento. “Il nostro è un messaggio di innovazione in un mercato ancora giovane ma dai forti trend  che ci fanno prevedere una crescita da 12 milioni di pezzi oggi a 18 milioni nel 2026”.

Gli obiettivi di vendita, per quanto non dichiarati, sono realistici: non sarà il Flip a far fare i grandi numeri a Oppo in Italia  – dove occupa circa il 5% del mercato – ma l’idea è di creare intorno al marchio un’aura che  lo rende riconoscibile soprattutto per innovazione.

“L’Italia oggi sta contribuendo ai progetti legati all’N2 sia su scala globale che su scala europea” continua Lazzini ed è in quest’ambito che si inerisce la partnership, annunciata proprio a Londra, con il marchio di design Queeboo che la casa cinese porterà alla Fashion Week di Milano.

La scelta di portare in Italia un flip, anche se Oppo ha sul mercato cinese un fold, strizza l’occhio al pubblico femminile, ma anche a un uso diverso dello smartphone. L’ampio schermo frontale, visibile quando il Flip è chiuso, permette di avere accesso alle notifiche e alle informazioni chiave senza  doverlo aprire. Il risultato potrebbe essere un uso più consapevole, con minori distrazioni. Ma è anche un segno dei tempi: il 70% dei pieghevoli venduti sono flip.

Puntare sui pieghevoli è però anche una necessità economica per le aziende: il mercato si contrae dal punto di vista dei pezzi venduti, ma cresce in valore perché aumentano le vendite nella fascia sopra gli 800 euro.

Come è fatto l’N2 Flip

Partiamo da due elementi chiave: i display e la ricarica. Con i suoi 3,26 pollici, il display esterno permette di scattare selfie, controllare fino a 6 notifiche, registrare una nota vocale, rispondere a una chiamata senza aprire lo smartphone.

La modalità FlexForm, consente di usare il display E6 AMOLED da 6,8 pollici semi piegato tra 45 e i 110 gradi e di trasformare lo smartphone in una fotocamera con treppiede. Alla batteria da 4.300 mAh si accompagna una ricarica flash supervooc e il sistema di fotocamere con sensore Sony IMX890 al processore MediaTek Dimensity 9000+.

Quante volte si può aprire?

Il Find N2 Flip pesa 191g e ha uno spessore di 7,45 mm. Il meccanismo della cerniera Flexion Hinge  non presenta alcuna fessura proteggendo il display interno da polvere e impurità ed è certificato TÜV Rheineland per resistere a oltre 400.000 piegature a temperatura ambiente. Ciò equivale ad aprire e chiudere lo smartphone circa 100 volte al giorno per più di dieci anni e fino a 100.000 volte a 50 gradi con il 95% di umidità, e a -20.

È disponibile nelle colorazioni Astral Black e Moonlit Purple a 1.200 Euro.


La battaglia dei telefoni pieghevoli è cominciata (finalmente)

“La fotocamera è la prossima tastiera”: IA e ricerche online secondo Google

AGI – La battaglia tra ChatGpt (integrato in Bing) e Bard (creatura di Google in fase di test) ha fatto capire quanto l’intelligenza artificiale sarà centrale nelle ricerche online. Cioè nel modo in cui accediamo a gran parte delle informazioni. Le applicazioni – per ora – utilizzano le parole scritte. 

Ma il futuro delle ricerche potrebbe essere molto diverso, multiplo. O almeno è quanto ha dichiarato Google durante la presentazioni, da Parigi, di nuove funzionalità legate alle ricerche. “Siamo nell’era della ricerca visuale”, ha affermato Prabhakar Raghavan, senior vice president di Google. Anzi, di più: “La fotocamere è la prossima tastiera”. Scatti, clicchi, cerchi, con il pieno supporto dell’intelligenza artificiale.

La ricerca diventa multipla

I prodotti presentati confermano la centralità dell’immagine, con un ruolo essenziale di Lens, e danno un assaggio di quanto l’intelligenza artificiale potrà cambiare il modo di cercare informazioni online. Google ha infatti rivelato la Ricerca multipla. Già oggi è possibile fare ricerche, oltre che con le parole, anche con le immagini. Adesso Big G mescola e ambisce a moltiplicare le possibilità. 

Esempio pratico: scattiamo la foto di un abito visto in vetrina oppure nell’armadio di un’amica. Bello, solo che sarebbe meglio di un altro colore. Basta caricare l’immagine e aggiungere “verde” ed ecco che nei risultati di ricerca compariranno quell’abito o abiti simili di colore verde. E così anche per la foto di uno sgabello che preferiremmo con seduta rettangolare anziché rotonda. O con il pattern di un tappeto, che però sarebbe perfetto per le tende della camera da letto. 

Visto che la funzionalità ha evidenti applicazioni commerciali (potrei voler comprare quel vestito verde con un tap), sarà presto disponibile anche l’opzione “vicino a me”, che restringe la ricerca multipla alle attività poco distanti. A breve arriverà anche “Search screen”, che permette di attivare la ricerca multipla su qualsiasi cosa compaia in un’immagine online: una bicicletta, un armadio, il monumento alle spalle di vostro fratello nella foto che vi ha inviato. Lens identifica l’oggetto e permette di iniziare la ricerca e saperne di più. Insomma, come ha sottolineato Elizabeth Reid, vice president e gm di Google Search, “se puoi vederlo, puoi cercarlo”.

Mappe immersive

Il ruolo dell’intelligenza artificiale sta diventando centrale anche nelle Mappe. La prima novità si chiama Visualizzazione immersiva. Utilizzando l’IA e la computer vision, fonde miliardi di immagini di Street View e immagini aeree per creare un modello digitale dettagliato. Città, quartieri ed edifici si possono guardare dal basso, dall’alto e – altra novità – dall’interno.

Sempre grazie alle ricostruzioni visive, l’utente potrà “entrare” all’interno di bar, ristoranti e negozi. Visualizzazione immersiva è pronta per essere lanciata in una manciata di grandi città nel mondo. Entro pochi mesi, toccherà anche alle prime italiane: Firenze e Venezia.

Live View è invece una nuova modalità di ricerca che si potrebbe descrivere come uno Street View potenziato. Oggi Maps permette di individuare punti d’interesse, bar, bancomat. Live View fa lo stesso, ma dal vivo. Cioè inquadrando la strada che abbiamo davanti.

Un’applicazione di realtà aumentata che fonde i classici segnaposto e le informazioni disponibili sulle Mappe con porte e insegne analogiche. Insomma: se ne avete voglia, Live View potrebbe abolire la richiesta di indicazioni agli sconosciuti. Per ora, niente Italia: è disponibile a Londra, Los Angeles, New York, Parigi, San Francisco e Tokyo. Lo sarà presto a Barcellona, Dublino e Madrid.

La stessa funzionalità può essere sfruttata nei luoghi chiusi grandi e che non si conoscono. Live View è una guida in realtà aumentata che Google ambisce a portare in un migliaio tra aeroporti, stazioni ferroviarie e centri commerciali, per ora a Barcellona, Berlino, Francoforte, Londra, Madrid, Melbourne, Parigi, Praga, San Paolo, Singapore, Sydney, Taipei e Tokyo.

Durante la presentazione di Parigi sono state svelate anche nuove funzionalità per i veicoli elettrici e una modalità di visualizzazione del proprio percorso, che permette di avere una visuale completa e più ampia in un unico colpo d’occhio. 

Ricerche e IA: è solo l’inizio

Proprio mentre ChatGpt e Bard-Lamda concentrano l’attenzione sulle parole, Google rilancia: le ricerche non sono solo lettere. Sono anche immagini. E l’intelligenza artificiale è qui non solo per potenziare i singoli strumenti ma per crearne di nuovi dalla mescolanza di informazioni, e-commerce, navigazione, traduzione e tanto altro. “Le ricerche online hanno 25 anni”, ha ricordato Raghavan. “La loro storia è appena iniziata”.

 


“La fotocamera è la prossima tastiera”: IA e ricerche online secondo Google

Ma che fine ha fatto Clubhouse?

AGI – C’è stato un momento in cui Clubhouse sembrava la nuova agorà. Pare passata una vita, era l’altro ieri. In piena pandemia, l’app che permette di organizzare eventi in diretta audio esplode. Nel giugno 2021 raggiunge il proprio picco globale, con 17 milioni di utenti mensili attivi.

In quei giorni incassa un round d’investimento che porta la raccolta complessiva a 110 milioni di dollari e la valutazione della società a 4 miliardi. Poi il crollo e, oggi, qualcosa che si avvicina all’irrilevanza.

Utenti e download: il tracollo

Secondo i dati forniti all’Agi dall’analista di SensorTower Abe Yousef, lo scorso anno le installazioni dell’app sono diminuite dell’83% su scala globale e addirittura del 95% in Italia rispetto al 2021. 

Rispetto al picco, gli utenti mensili attivi lo scorso dicembre sono diminuiti dell’83% su scala globale e dell’85% nel nostro Paese, dove comunque la platea è sempre stata sproporzionata rispetto alla visibilità. Tutti ne parlavano, ma pochissimi frequentavano Clubhouse. Secondo il Garante della Privacy, nel 2021 il social contava circa 90.000 utenti in Italia.

Cosa c’entra il Garante? Lo scorso dicembre ha comminato all’app una multa da 2 milioni di euro per “numerose violazioni”: “Scarsa trasparenza sull’uso dei dati degli utenti e dei loro ‘amici’; possibilità per gli utenti di memorizzare e condividere gli audio senza consenso delle persone registrate; profilazione e condivisione delle informazioni sugli account senza l’individuazione di una corretta base giuridica; tempi indefiniti di conservazione delle registrazioni effettuate dal social per contrastare eventuali abusi”.

Meno integralismo per salvarsi

Clubhouse ci ha provato e ci sta provando a sfuggire all’irrilevanza. Anche a costo di abbandonare l’audio-integralismo. Ha introdotto le chat, per “consentire agli utenti di comunicare tra loro durante una diretta” e dare agli organizzatori la possibilità di “ottenere feedback in tempo reale”. Lo scorso anno ha lanciato anche Wave, una funzione per organizzare eventi in modo più rapido e, soprattutto, Houses, una sorta di app nell’app che permette a chiunque di creare comunità private, con le proprie regole. 

È una sterzata netta rispetto all’idea iniziale: da “club” in una sola “casa” a tante “case” diverse. Da spazio aperto (seppure su invito) basato su un tema di comune interesse a spazi chiusi basati sulla conoscenza personale. A giugno, Bloomberg ha riferito di “licenziamenti” dovuti a un “cambio di strategia”.

Cosa non ha funzionato

Il successo di Clubhouse è evaporato con la stessa velocità con cui era arrivato. Il lancio delle chat e di Houses conferma il tentativo di smarcarsi dall’integralismo audio e da un meccanismo di accesso troppo elitario. Hanno pesato i ritardi: l’app è stata a lungo disponibile solo per iOS, cioè solo per chi aveva un iPhone.

La versione per Android (cioè per il sistema operativo più diffuso al mondo) è arrivata solo nel maggio 2021 e quella web solo a gennaio 2022, quando la propulsione si era già esaurita da un pezzo. Senza dimenticare la poca chiarezza su come e quanto i creatori di contenuti possano monetizzare.

Come ammesso dal co-fondatore e ceo di Clubhouse Paul Davison in un’intervista a Bloomberg dell’ottobre 2021, la società – che al momento del boom aveva appena otto dipendenti – non era pronta a gestire una crescita così rapida. Comprensibili. Nella stessa intervista, però, Davison rivela una lettura che, oggi, suona come una condanna: “Quando emerge un nuovo medium, la compagnia che si focalizza su quel medium finisce per esserne il leader. Per i testi è stato Twitter, per le foto è stato Instagram, per i video Youtube. Penso che per il social audio sarà lo stesso”.

Il mondo dei social, però, è profondamente diverso rispetto a quello degli esordi di Youtube (2005), Twitter (2006) e Instagram (2010). Oggi non basta più arrivare primi per essere primi. Visto il successo di Clubhouse, praticamente ogni piattaforma ha creato una funzionalità simile, da Twitter Spaces a Facebook Live Audio Rooms, da LinkedIn a Spotify Live. “L’ampia concorrenza ha schiacciato l’app”, conferma Abe Yousef.

Una concorrenza che in realtà è una prassi capace di soffocare le nicchie prima che diventino un problema. Succede così: una buona idea viene assorbita da piattaforme per le quali è solo una funzionalità tra le tante, che la mettono a disposizione di una platea ben più ampia, drenando l’app “arrivata prima”. Per le big è una piccola scommessa con enormi potenzialità. Per le piccole è la fine. È un po’ quello che è successo a Snapchat, l’app che ha inventato i contenuti a tempo. Il suo declino (arrivato comunque dopo aver raggiunto livelli finanziari e di popolarità incomparabili con quelli di Clubhouse) è iniziato quando Mark Zuckerberg ha deciso di copiare pari pari il format, portando le Storie su Facebook e Instagram.

Il social audio è stata solo una bolla?

Al di là di ritardi e concorrenza, c’è sempre il solito problema dell’eccessivo entusiasmo. Basta poco, pochissimo, per parlare di app rivoluzionaria, di futuro dei social e di “prossimo TikTok”. Al momento, la parabola di Clubhouse ricorda più quella di Periscope. La piattaforma che permetteva a chiunque di diffondere video in diretta sembrava dovesse scardinare il modo tradizionale di raccontare e mostrare il mondo. Acquisita da Twitter nel 2015, è presto sparita dai radar, per poi essere chiusa nel 2021.

Vale però la pena chiedersi se Clubhouse sia il dito o la Luna. È la storia di un’app che non ha rispettato le (astronomiche) aspettative oppure è il social audio a essere stato una bolla? Sì, perché – a differenza dei contenuti evanescenti in stile Snapchat, che si sono imposti un po’ ovunque – a rimanere nicchia non è stata solo Clubhouse: nessuno dei suoi omologhi ha sfondato. Forse i tempi non sono maturi. O forse gli audio in diretta sono destinati a essere gregari: una funzionalità tra altre, ma non il centro di un’intera piattaforma.


Ma che fine ha fatto Clubhouse?

Scoperto un pianeta nano con gli anelli fuori posto

AGI – Avvistato per la prima volta nel 2002, il pianeta nano 50000 Quaoar è di nuovo protagonista di una scoperta realizzata grazie a diversi telescopi, tra cui anche quello della missione ESA CHaracterising ExOPlanet Satellite (Cheops), a cui partecipano in maniera importante anche l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI). I ricercatori hanno rilevato la presenza di un denso anello di materiale attorno all’oggetto transnettuniano.

L’anello di detriti è interessante soprattutto perché si trova a una distanza di quasi sette volte e mezzo il raggio di Quaoar, cioè oltre il limite di Roche. I dati delle osservazioni sono stati appena pubblicati in un articolo di Nature. Quaoar è un planetoide relativamente freddo, si trova ai confini del Sistema solare nella Fascia di Kuiper (oltre l’orbita del pianeta Nettuno) e le sue dimensioni sono paragonabili approssimativamente ai due terzi di quelle di Plutone.

L’oggetto fa parte di una raccolta di circa 3000 piccoli mondi distanti, noti come oggetti transnettuniani (TNO). I più grandi pianeti nani in questa categoria sono Plutone ed Eris. Con un raggio stimato di 555 km, Quaoar si colloca intorno al numero sette nella classifica ed è orbitato da una piccola luna chiamata (50000) Quaoar I Weywot, di circa 80 km di raggio.L’anello è stato scoperto attraverso una serie di osservazioni avvenute tra il 2018 e il 2021. Usando una serie di telescopi terrestri e, in una occasione anche il telescopio spaziale Cheops, gli astronomi hanno osservato un certo numero di occultazioni di stelle lontane da parte di Quaoar.

Durante l’evento di occultazione la stella sullo sfondo viene nascosta per un breve periodo di tempo e il modo in cui avviene la diminuzione di luce fornisce informazioni sulle dimensioni e sulla forma dell’oggetto occultante e puo’ rivelare se l’oggetto intermedio ha o meno un’atmosfera. I pianeti nani, a causa delle loro dimensioni e dell’estrema distanza, sono oggetti particolarmente difficili da studiare. L’orbita di Quaoar attorno al Sole è pari a 44 volte la distanza Sole-Terra. Per rilevare l’occultamento è necessario che l’allineamento tra l’oggetto occultante, la stella e il telescopio osservatore sia estremamente preciso. L’anello di Quaoar è molto più piccolo di quelli attorno a Saturno e non è l’unico sistema di anelli noto attorno a un pianeta nano. Altri due – intorno a Chariklo e Haumea – sono stati rilevati attraverso osservazioni da terra. Ciò che rende unico l’anello di Quaoar, tuttavia, è dove si trova rispetto a Quaoar stesso. Vale a dire il famoso limite di Roche.

Di cosa parliamo?

Qualsiasi oggetto celeste con un campo gravitazionale avrà un limite entro il quale un oggetto celeste in avvicinamento verra’ fatto a pezzi. Si prevede che sistemi di anelli densi esistano all’interno del limite di Roche, come nel caso di Saturno, Chariklo e Haumea. “Quindi, ciò che è cosi’ intrigante di questa scoperta intorno a Quaoar è che l’anello di materiale è molto più lontano del limite di Roche”, spiega Giovanni Bruno, ricercatore dell’INAF di Catania, e collaboratore dello Science team di Cheops.

Dov’e’ il vero mistero?

Gli esperti ritengono che gli anelli oltre il limite di Roche si condensino per formare una piccola luna entro pochi decenni. “Come risultato delle nostre osservazioni, la nozione classica che gli anelli densi sopravvivono solo all’interno del limite di Roche di un corpo planetario deve essere completamente rivista”, dice ancora. Per studiare i corpi minori del Sistema solare analizzando le occultazioni stellari, è stato creato il progetto Lucky Star, coordinato da Bruno Sicardy, dell’Universita’ La Sorbona & Paris Observatory – PSL (LESIA) e finanziato dal Consiglio Europeo per la Ricerca (ERC).

Nell’ambito di Lucky Star vengono coordinate osservazioni di questi eventi con telescopi professionali e amatoriali in tutto il mondo. Il satellite Cheops ha partecipato alla campagna osservativa organizzata in occasione di una occultazione prevista per l’11 giugno 2020. Le osservazioni Cheops sono state proposte, in collaborazione con il progetto Lucky Star, da Isabella Pagano, direttrice dell’INAF di Catania, responsabile nazionale per la missione Cheops e membro del suo comitato scientifico.

La ricercatrice ricorda che “tutto il team Cheops era abbastanza scettico sulla possibilita’ di catturare un’occultazione dallo spazio, ma, dopo averne valutato la fattibilità, grazie anche alle accurate misure di posizione fornite dal satellite Gaia, abbiamo deciso di rischiare poiche’ il tempo speso dal satellite per osservare questo evento, sarebbe stato abbastanza breve da non danneggiare i programmi primari della missione”. Il problema principale era che la traiettoria del satellite può essere leggermente modificata a causa della resistenza negli strati superiori dell’atmosfera terrestre, a causa dell’attività solare che può colpire il nostro pianeta ed espandere la sua atmosfera.


Scoperto un pianeta nano con gli anelli fuori posto

Bard, la risposta di Google a ChatGPT

AGI – Google ha annunciato il lancio del proprio robot specializzato nella conversazione, chiamato Bard, in fase di test, a pochi mesi dall’arrivo di ChatGPT, il software della startup americana OpenAI.

1/ In 2021, we shared next-gen language + conversation capabilities powered by our Language Model for Dialogue Applications (LaMDA). Coming soon: Bard, a new experimental conversational #GoogleAI service powered by LaMDA. https://t.co/cYo6iYdmQ1

— Sundar Pichai (@sundarpichai) February 6, 2023

“Bard mira a combinare l’ampiezza della conoscenza mondiale con la potenza, l’intelligenza e la creatività dei nostri grandi modelli linguistici”, ha spiegato Sundar Pichai, amministratore delegato di Alphabet, la società madre di Google, citato in un comunicato.  

Pichai ha dichiarato che l’intenzione è di rendere Bard disponibile al pubblico “nelle prossime settimane” e attingerà alle informazioni dal web “per fornire risposte fresche e di alta qualità”. Bard si basa su LaMDA, il sistema Language Model for Dialogue Applications dell’azienda, ed è in fase di sviluppo da diversi anni.


Bard, la risposta di Google a ChatGPT

Sono in diminuzione gli adolescenti italiani sempre connessi a Internet

AGI – Dopo l”overdose’ da digitale che ha caratterizzato il periodo della pandemia, gli adolescenti iniziano a ripensare il proprio rapporto con le nuove tecnologie, a partire dal tempo speso online e dalle finalità d’uso, sempre più costruttive e meno ‘ludiche’.

A evidenziarlo, la tradizionale ricerca condotta da Generazioni Connesse – il Safer Internet Centre Italiano, coordinato dal ministero dell’Istruzione e del Merito – curata da Skuola.net, Università degli Studi di Firenze e Sapienza Università di Roma – CIRMPA – in occasione del Safer Internet Day 2023, che quest’anno ha coinvolto 3.488 ragazze e ragazzi delle scuole secondarie di I e II grado.

Il dato più significativo emerso è sicuramente quello legato alla porzione di giornata dedicata alla dimensione digitale. Rispetto alle rilevazioni svolte negli anni precedenti nel medesimo periodo, assistiamo infatti a un’ulteriore diminuzione di coloro che affermano di essere connessi oltre 5 ore al giorno: oggi sono il 47%, contro il 54% rilevato nel 2022 e addirittura il 77% del 2021. 

Non siamo ancora ai livelli di febbraio 2020, quando gli ‘iperconnessi’ si fermavano alle soglie del 30% del campione, ma appare ormai alle spalle l’era dell’overdose da web che ha caratterizzato lo scorso biennio. Peraltro, ‘come evitare di stare troppo tempo online’ è proprio uno dei tre argomenti principali, insieme alla difesa della propria privacy e alla capacità d’imparare a riconoscere fake news e affini, che gli studenti vorrebbero fossero maggiormente approfonditi a scuola durante i momenti di Educazione digitale.

Inoltre, come anticipato, sta cambiando anche il modo in cui si interpreta il mezzo Internet. Il comportamento adottato sui social network, ovvero il luogo digitale su cui passa più tempo la Generazione Z (e non solo), ne è l’emblema. Anche per i più giovani le piattaforme, da strumento quasi esclusivamente ‘sociale’, destinato allo svago e alla costruzione di reti e community, stanno diventando sempre più ‘media’.

La parte d’intrattenimento rimane preminente: 2 su 3 li usano per restare in contatto con gli altri, 1 su 2 per seguire creator e influencer. Ma, ad esempio, tra quanti si informano sull’attualità’ tramite il web – ovvero il 94% del campione analizzato, praticamente tutti – la maggior parte (39,5%, circa 4 su 10) utilizza proprio i social network come fonte primaria. Per dare una proporzione, solo 1 su 4 (26,3%) si rivolge prioritariamente ai siti di notizie. Il che, peraltro, dovrebbe spingere a intensificare gli sforzi nella lotta alle fake news, che trovano proprio nelle piattaforme il terreno più fertile.

Sfruttare le potenzialità delle piattaforme online

Ma c’è anche chi va oltre, sfruttando appieno le potenzialità del mezzo social. Quasi la metà degli intervistati (48%) almeno una volta ha scavalcato i classici siti e-commerce comprando prodotti o servizi direttamente da una pagina social (o tramite una console per videogiochi); a circa 1 su 7 (15%) capita spesso e volentieri.

E c’è persino chi sulle piattaforme investe sul proprio futuro: se, complessivamente, quasi 1 su 5 (18%) parallelamente agli studi dice di svolgere anche dei lavoretti extra, tra questi poco meno di un terzo (5%) ha deciso di puntare sul digitale. E, guarda caso, la porzione più consistente si è orientata proprio sui social media, ad esempio creando pagine personali dal carattere anche commerciale o gestendo pagine social di altri. Non solo, oltre la metà (51%) pensa che quella possa tranquillamente diventare un domani un’occupazione a tempo pieno.

Le difficoltà all’orizzonte

In un quadro del genere, ovviamente, non mancano le criticità. Perché se il comportamento online delle nuove generazioni – Zeta e Alpha – sembra essersi evoluto, i rischi sono sempre dietro l’angolo. Ma cambiano forma. Dati alla mano, da qui in avanti lo spauracchio numero uno non sembra più la possibile indigestione da Internet bensì una sorta di ‘dittatura dell’algoritmo’ che condizioni il pensiero e le azioni dei più giovani.

Oltre 8 giovani su 10, infatti, accettano di buon grado che siti web e piattaforme possano influenzare il proprio modo di conoscere il mondo, chiudendoli nella loro ‘bolla digitale’: il 44,7% è tendenzialmente d’accordo, 37,8% fortemente d’accordo, appena il 17,6% si mostra scettico rispetto a tale limitazione.

Un atteggiamento da rispettare, peccato che spessissimo sia inconsapevole: circa 1 su 2 (48%) non ha la minima idea di come funzionino gli algoritmi che governano la Rete. Un motivo di preoccupazione quantomai attuale. E che va ben oltre le ben note ‘bufale’. Legandosi a doppio filo al fenomeno del momento: i software e i servizi, basati sull’intelligenza artificiale (quindi su algoritmi), capaci di generare automaticamente contenuti e, in un certo senso, di ‘pensare’ al posto nostro.

I ritrovati di ultima generazione – ChatGPT e similari – sono molto accurati e, per questo, stanno spopolando. Anche tra i giovanissimi. Tra gli intervistati, 2 su 3 li hanno già sperimentati (il 28% lo fa di frequente) per creare testi vari da utilizzare per lo studio o per usi personali.

Nonostante, analogamente a quanto avviene per l’algoritmo dei social, il 45% non ne abbia approfondito il funzionamento e circa 1 su 10 non mostri interesse a farlo neanche in futuro. Altrimenti avrebbero scoperto che il loro livello di affidabilità è ancora limitato, specie laddove l’informazione deve essere precisa. Aprendo, di fatto, un nuovo fronte nella battaglia per garantire benessere e sicurezza online agli utenti del web, soprattutto se si tratta dei più giovani.


Sono in diminuzione gli adolescenti italiani sempre connessi a Internet

Samsung scommette su uno smartphone da oltre mille euro

AGI – Il mercato degli smartphone ha subito una decisa contrazione, ma il segmento dei flagship – i telefoni, per intenderci, che vanno da 800 a oltre mille euro – è in continua crescita. Per cui se in termini di volume le vendite sono diminuite, in termini di valore la situazione non è così drammatica.

Solo questa convinzione può essere dietro la decisione di Samsung di lanciare l’edizione 2023 dei suoi Galaxy (nella versione standard, Plus e Ultra) a prezzi che vanno da 979 a 1.900 euro.

A vederlo, il Galaxy S23 cambia poco rispetto al modello precedente: all’aspetto risulta più squadrato – un elemento che gioca a favore dell’utilizzo della S Pen, l’atout della versione Ultra – e meno pesante, ma la vera rivoluzione è nel ‘cuore’, quel processore Snapdragon che Qualcomm ha ottimizzato per Samsung. Rinnovato – ovviamente – anche il comparto fotografico con il nuovo sensore da 200 megapixel la funzione Nightography perfezionata.

La nuova generazione di Galaxy S punta a migliorare l’esperienza del gaming, ma anche quella professionale.

Sul fronte della fotografia, Nightography ottimizza foto e video riducendo il rumore visivo che rovina le immagini in presenza di scarsa luminosità grazie a un nuovo algoritmo di elaborazione dei segnali di immagine (ISP) basato sull’Intelligenza artificiale e in grado di esaltare i dettagli dell’oggetto e i toni cromatici.

Il nuovo sensore 200MP che monta la versione Ultra (e che funziona solo senza zoom) sfrutta il pixel binning per supportare contemporaneamente diversi livelli di elaborazione ad alta risoluzione. Considerato il ruolo sempre più significativo delle fotocamere per selfie la serie S23 introduce l’autofocus rapido e la fotocamera Super HDR per selfie, che segna il passaggio da 30 fps a 60 fps per immagini frontali e video più nitidi.

Non mancano ammennicoli come l’app Expert RAW per riprendere immagini in stile reflex e di modificarle in RAW e JPEG o le impostazioni Astrofoto per fotografare il cielo stellato (a condizione di avere un cavalletto e un po’ di pazienza).

Resta ancora da capire quanti gamer usino lo smartphone per sfidarsi, ma Samsung e Qualcomm hanno ottimizzato l’esperienza con Snapdragon 8 Gen 2, una piattaforma particolarmente potente ed efficiente  insieme con una capacità di elaborazione di circa il 30% in più rispetto alla serie S22. 

Per garantire la sicurezza, Knox Vault, introdotta per la prima volta sulla serie Galaxy S21, protegge i dati critici sulla serie Galaxy S23 isolandoli dal resto del dispositivo, sistema operativo compreso, per garantire maggiore protezione da eventuali vulnerabilità.

 


Samsung scommette su uno smartphone da oltre mille euro

Attenzione a condividere la email sul web. Come difendersi

AGI – Quando si naviga sul Web, un numero sempre maggiore di siti e app richiede un’informazione di base che probabilmente viene fornita da ciascuno senza troppa esitazione: il proprio indirizzo email. Attenzione, sembra un gesto innocuo, invece “quando si inserisce la propria email, si condividi molto di più di un semplice indirizzo”, avvisa il New York Times.

Perché le aziende vogliono gli indirizzi email degli utenti? Per inserzionisti, editori web e produttori di app, conoscere la email è importante non solo per contattare il navigatore in rete, ma perché è un espediente utile alle aziende per collegare la personale attività sul web con siti e app in grado poi di offrire annunci pubblicitari e consigli conseguenti e pertinenti a ciò che si sta ricercando.

Analizza il Times: “Per decenni, l’industria della pubblicità digitale si è affidata a tracciatori invisibili installati all’interno di siti web e app per seguire le nostre attività e quindi fornirci annunci mirati”, ma negli ultimi anni sono state apportate modifiche radicali a questo sistema, tra cui il rilascio da parte di Apple di una funzionalità software nel 2021 che consente agli utenti di iPhone di impedire alle app di tracciarli e la decisione di Google di impedire ai siti web di utilizzare i cookie, che seguono e indagano le attività delle persone attraverso i siti, nel suo browser Chrome entro il 2024.

Tuttavia, la tecnologia pubblicitaria è in continua evoluzione, quindi può stabilire esattamente cosa si sta condividendo quando si inserisce un indirizzo email. A tal proposito, “una tecnologia che sta guadagnando terreno è un framework pubblicitario chiamato Unified ID 2.0, o Uid 2.0, sviluppato da Trade Desk, una società di tecnologia pubblicitaria di Ventura, in California”, scrive il Times, in base al quale Uid 2.0 “trasforma la email in un token composto da una stringa di cifre e caratteri” per cui “gli inserzionisti possono collegare i due account insieme in base al token e possono indirizzare così annunci di mirati sull’app di streaming” sul genere di prodotto visitato o a cui si è interessati.

Ma poiché l’indirizzo email non viene rivelato all’inserzionista, “Uid 2.0 può essere visto come un passo avanti per i consumatori rispetto al tradizionale tracciamento basato sui cookie, che offre agli inserzionisti l’accesso alla cronologia di navigazione dettagliata e alle informazioni personali”.

Il punto è che “siti e app richiedono sempre più spesso l’autenticazione delle email, in parte perché gli editori devono disporre di un modo efficace per monetizzare i propri contenuti più incentrato sulla privacy rispetto ai cookie”, spiega Ian Colley, chief marketing officer di Trade Desk, anche perché “dopotutto internet non è gratis”, precisa.

Come difendersi allora? Il Times consiglia che ogni volta che un sito o un’app richiede la email di “creare un indirizzo univoco per accedere, come, ad esempio, netflixbrianchen@gmail.com”, ciò che renderebbe difficile per le aziende di tecnologia pubblicitaria compilare un profilo basato sull’indirizzo email. 

Oppure usare degli strumenti di mascheramento delle email o, in ultima analisi, “quando è possibile rinunciare” del tutto: “Per i siti che utilizzano il framework Uid 2.0 per profilare gli annunci, lo si può disattivare inserendo l’indirizzo email su https://transparentadvertising.org, anche se “non tutti i siti che raccolgono l’indirizzo email utilizzano Uid 2.0.

Ultima chance? Non fare nulla. Ricevere la pubblicità e basta.


Attenzione a condividere la email sul web. Come difendersi