Per mantenere al fresco il picnic? Funghi al posto del ghiaccio secco

AGI – Meglio i funghi del ghiaccio per tenere al fresco gli alimenti. Lo hanno verificato i ricercatori  dell’Università Johns Hopkins che hanno documentato una straordinaria capacità di raffreddamento nei lieviti, nelle muffe e nei funghi. Infatti, il team di ricerca  ha scoperto che i funghi e altri lieviti e muffe, rimangono più freschi rispetto all’ambiente circostante e ha anche spiegato come mai rimangono così freschi: perché contengono molta acqua, basta pensare a come i funghi si restringono quando cucinati, e la rilasciano gradualmente in una forma fungina di sudorazione che abbassa la loro temperatura, dicono i microbiologi sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences.

Principalmente per divertimento, il team ha persino costruito un frigorifero da picnic alimentato dai funghi. Durante le passeggiate nei boschi durante la pandemia di Covid-19, il microbiologo dell’Università Johns Hopkins Radamés Cordero stava provando la nuova telecamera termica del suo laboratorio, che registra l’infrarosso, ovvero il calore, come immagini. Lui e il suo collega Arturo Casadevall avevano pianificato di usare la telecamera per vedere come i pigmenti scuri di alcuni funghi influenzano la temperatura superficiale.

Durante le sue escursioni, Cordero ha immaginato circa 20 tipi di funghi selvatici e tutti, indipendentemente dal colore, erano più freschi dell’ambiente circostante. Successivamente, in laboratorio, i ricercatori hanno scoperto che alcune specie, come l’amanita stellata americana marrone, erano solo di 1°C o 2°C più fresche dell’ambiente circostante, ma il fungo Pleurotus ostreatus era quasi 6°C più fresco.

Inoltre, 19 tipi di muffe e lieviti, tra cui il lievito da birra, la muffa che produce la penicillina e alcuni patogeni umani, erano anche freschi, soprattutto vicino al centro delle loro colonie. Anche a temperature dell’aria vicine allo zero, le colonie erano circa 1°C più fredde.

Le temperature dei funghi monocellulari sono state una sorpresa, poiché rispetto ai funghi hanno molta meno area superficiale per volume, anche quando raggruppati in colonie, per la perdita di calore. Ma il lavoro suggerisce che “questo fenomeno è una caratteristica diffusa del regno fungino”, afferma Cordero.

Nell’esperimento, Cordero e Casadevall hanno inserito due fori per l’aria in una piccola scatola da imballaggio in polistirolo contenente meno di mezzo chilogrammo di funghi champignon, hanno installato una ventola di scarico del computer in un foro per far passare l’aria attraverso di essa e hanno inserito la scatola in un contenitore di polistirolo più grande.

Con la ventola accesa, la temperatura del contenitore più grande è scesa di 10°C in 40 minuti ed è rimasta lì per mezz’ora. “Non congelerai l’acqua”, attraverso il raffreddamento dei funghi, dice Casadevall. Ma il prototipo potrebbe facilmente mantenere una confezione da sei e il pranzo refrigerati per un picnic veloce, dice, “e dopo puoi mangiare i funghi”. 


Per mantenere al fresco il picnic? Funghi al posto del ghiaccio secco

Viaggio nella nuova ala del museo di storia naturale di New York

AGI – A differenza delle sale più vecchie, come quelle di etnografia, piene di scaffali in legno e vetro e bambole di feltro, la nuova ala del Museo di storia naturale di New York, che si chiama Gilder Center for Science, Education and Innovation, l’ultima aggiunta ai dieci edifici dell’istituzione dalla sua fondazione nel 1869, è l’inizio d’una nuova era: dopo 10 anni di lavori, resi difficili dalla pandemia, e con un investimento di 465 milioni di dollari (425 milioni di euro), il Museo “è oggi una piattaforma di conoscenza interattiva”, scrive il Paìs.

E così il carattere scientifico del centro, con aule di nuova generazione e un macro data center, “va di pari passo con la sua obbligatoria funzione espositiva”. Ovvero, dei quattro milioni di pezzi che il museo ospita nel suo complesso, “solo circa 30.000 sono esposti al pubblico” perché d’ora in poi la dimensione virtuale del nuovo edificio, “con touch panel a disposizione del visitatore, ne moltiplica le potenzialità”. 

Ed è una promessa per il futuro, con un obiettivo ben preciso: “Continuare a raccontare la storia naturale del mondo, dai dinosauri alle galassie, ma in chiave contemporanea”, sottolinea il quotidiano. L’edificio, progettato dallo Studio Lang, “è inondato di luce naturale dai lucernai che punteggiano il grande canyon a cui somiglia mentre il motivo diagonale evoca la stratificazione geologica”. 

Il nuovo centro facilita anche il percorso del visitatore stabilendo una continuità attraverso un’area che occupa quattro blocchi e che collega edifici che sono stati costruiti in quasi 150 anni, creando 33 collegamenti tra 10 edifici. Il restyling del museo newyorkese ha permesso di incorporare, come sottolinea Ellen Futter, presidente emerita del centro, “la visione del futuro come imperativo dell’istituzione; l’espressione moderna di un museo di storia naturale, che deve affrontare realtà che stanno arrivando come il cambiamento climatico e la biodiversità”, e che – negli edifici più vetusti, residuo d’altri tempi – non erano certo neppure contemplati. “L’interdisciplinarietà è un imperativo dell’istituzione“, ha affermato Futter durante la presentazione.

“Il Gilder Center è progettato per invitare all’esplorazione e alla scoperta, che non è solo emblema della scienza, ma anche una parte importante dell’essere umano. L’obiettivo è coinvolgere tutti, di tutte le età, background e abilità, per condividere l’entusiasmo di conoscere il mondo naturale”, ha affermato Jeanne Gang, direttrice fondatrice e partner di Studio Gang. Il grande atrio inondato di luce naturale grazie a grandi lucernai, “si ispira al modo in cui il vento e l’acqua scolpiscono i paesaggi nella natura”, curvature, archi, grotte mentre la trama, il colore e le forme fluide dell’atrio si ispirano ai canyon del sud-ovest americano.

 


Viaggio nella nuova ala del museo di storia naturale di New York

Cene e laboratori completamente nudi, l’ultima moda di New York

AGI – L’arma più potente del femminismo? “È stata la sorellanza”, scrive il Paìs, secondo cui “sono sempre di più le iniziative che cercano di creare, spesso in spazi esclusivi per le donne, un’atmosfera di fiducia e sicurezza in cui possono permettersi di sentirsi meno vulnerabili”. E chiosa: “Sebbene gli uomini siano fondamentali quando si tratta di trovare soluzioni per raggiungere l’uguaglianza, dopo 5.000 anni di patriarcato, in questi spazi le donne esercitano il loro diritto di esprimersi, essere ascoltate e sentirsi a proprio agio”. Di che si tratta?

Il quotidiano madrileno racconta che a New York l’ultimo esempio di questa tendenza alla consapevolezza di sé per sentirsi più forti e abbattere i pregiudizi è The Füde Experience, un’iniziativa artistica che consiste in eventi pop-up che ruotano attorno a un’attività: una cena, un laboratorio di scultura, meditazione, che hanno al centro una particolarità: l’obbligo di essere completamente nude. Incontri che costano circa 88 dollari, 79 euro, ai quali per accedere bisogna compilare un questionario, e in base alle risposte si viene accettati.

L’idea, si legge, è venuta alla maggiorata modella americana Charlie Ann Max, 29 anni, che ha iniziato a organizzare gli incontri prima a Los Angeles e da poco ne sta preparando, almeno uno al mese, a New York, ma ha intenzione di proporli anche a Madrid e Barcellona ad agosto. Gli incontri hanno già migliaia di richieste in lista d’attesa per un’età di chi intende parteciparvi che va dai 20 ai 55 anni.

Il giornalista del quotidiano spagnolo che ha partecipato all’incontro tenutosi il 21 aprile a New York ha per esempio raccolto questa dichiarazione: ““Questa è la terza volta che frequento Füde e, come in altre occasioni, sento che il venire qui mi ha cambiato la vita. Sono profondamente grata per l’enorme effetto curativo di questi eventi”. C’è chi non solo ripete l’esperienza a distanza di tempo, ma anche chi “di incontro non ne ha perso uno”.

“Inizialmente, The Füde era riservato alle donne, persone non binarie e queer per garantire uno spazio sicuro a chiunque potesse sentirsi a disagio nello spogliarsi davanti a degli uomini” perché per poter “raggiungere l’uguaglianza è importante promuovere spazi in cui le donne possano ascoltarsi a vicenda, senza mediazioni maschili”, riflette via mail la professoressa di Scienze Politiche e Sociologia dell’Università Complutense Fátima Arranz Lozano. Ma questo non significa che non ci siano spazi misti.

Man mano che l’esperienza evolveva, infatti, Charlie Ann Max si è resa conto che l’importante era includere tutte le identità di genere, ma gli uomini sono accettati solo se hanno una raccomandazione diretta da qualcuno che ha partecipato a uno degli eventi. “La libertà che dà l’essere nudi è anche un atto di resa”, spiega Max, che sottolinea come il fatto di non rendere sessuale l’essere svestiti è fondamentale: “Affinché i partecipanti possano accedere al loro io più puro, la sicurezza è la mia massima priorità”.

Del resto lei stessa spiega: “Eliminando le aspettative e i giudizi sociali legati alla nudità, favoriamo la connessione con il nostro corpo e quello degli altri, in modo profondo e senza essere giudicati. Personalmente, ho avuto difficoltà a venire a patti con me stessa a causa di quanto sia tossica la cultura del corpo. Ma esser nuda mi ha aiutato a curare il mio dismorfismo corporeo. Sono diventata molto più forte”, conclude la creatrice di The Füde. E ora anche gli uomini che partecipano ne traggono beneficio.

“Non si tratta solo di far sentire le donne a proprio agio, ma anche di assicurarsi che si sentano ascoltate”, conclude il Paìs, perché “ l’importante è capire che l’esperienza individuale è anche un’esperienza politica collettiva”. 

 


Cene e laboratori completamente nudi, l’ultima moda di New York

Il repellente più efficace contro le punture delle zanzare

AGI – I primi segni dell’estate sono evidenti. È già arrivato il caldo e le prime avvisaglie sono l’arrivo in massa delle zanzare. Punture, pizzichi e prurito sono in crescita, ma – scrive il Guardian – “ci sono segnali che una soluzione per il 20% della popolazione che riceve un numero di punture superiore alla media potrebbe presto essere in arrivo”. In che modo? All’inizio di maggio, i ricercatori dell’Università di Gerusalemme (Huji) hanno sviluppato un nuovo repellente in grado di ridurre dell’80% il numero di zanzare che si nutrono del nostro sangue.

Uno studio pubblicato sulla rivista Pnas Nexus rivela che l’applicazione di un sottile strato a base di nanocristalli di cellulosa (Cnc) presenti in natura, una materia prima rinnovabile contenuta nel cotone e nel legno, un composto organico con un odore sgradevole, spalmato sulla pelle ha prodotto un “camuffamento chimico”. E questo camuffamento ha confuso le zanzare e le dirottate altrove, verso altri obiettivi.

“La combinazione Cnc-repellente avrà un’efficacia e un raggio d’azione più lunghi rispetto ad altri prodotti attualmente disponibili sul mercato”, afferma Jonathan Bohbot, docente anziano presso Huji e uno dei coautori dell’articolo, aggiungendo che si attendono ora “alti livelli di adozione del prodotto” se e quando arriverà sugli scaffali.

Secondo alcune stime, poi, i geni rappresentano “l’85% della propensione di una persona a esser punta”, mentre la società che esegue i test del Dna, la 23andMe, afferma d’aver “identificato ben 285 marcatori genetici ereditari” che sono all’origine della frequenza con cui le zanzare colpiscono le loro vittime. Anche perché le zanzare sono attratte dall’uomo attraverso sostanze volatili (composti organici) che noi stessi emettiamo col nostro respiro. 

Tuttavia, sono proprio le sostanze che rilasciamo attraverso la nostra pelle che servono a indicare alle zanzare il modo in nutrirsi; si tratta di “prodotti chimici che produciamo naturalmente, come l’acido lattico e l’ammoniaca”. E più acido lattico viene prodotto dal corpo, “maggiore e peggiore sarà probabilmente la frenesia delle zanzare di cibarsi del sangue”. Si legge perciò nel servizio del quotidiano inglese che, dati i limiti nel cambiare la nostra fisiologia, “i repellenti sono, per ora, davvero l’unica difesa che abbiamo”.

I prodotti antizanzare che verranno poi realizzati saranno acquistati in tutto il mondo in quantità tali, si prevede, che il mercato raggiungerà i 9 miliardi di dollari (7,2 miliardi di sterline) entro il 2026.


Il repellente più efficace contro le punture delle zanzare

La pennichella fa bene alla bilancia, ma a patto che sia breve

AGI – Una breve pennichella ogni giorno, un ‘pisolino energetico’ di meno di mezz’ora, diminuisce il rischio di obesità e alterazioni metaboliche. È quanto emerge da uno studio dei ricercatori del Brigham and Women’s Hospital, membro fondatore del sistema sanitario Mass General Brigham, condotto su più di 3.000 adulti di una popolazione mediterranea. 

I ricercatori hanno esaminato la relazione tra la ‘siesta‘ e la sua durata con l’obesità e la sindrome metabolica e hanno scoperto che un riposino di più di 30 minuti comporta maggiori probabilità di avere un indice di massa corporea più elevato, una pressione sanguigna più alta e un gruppo di altre condizioni associate a malattie cardiache e diabete (sindrome metabolica) rispetto a chi non ha l’abitudine della pennichella. Tuttavia, chi pratica la ‘siestà breve non presenta aumento del rischio di obesità e alterazioni metaboliche. I risultati dell’indagine sono pubblicati su Obesity.

“Non tutte le siesta sono uguali. La durata del tempo, la posizione del sonno e altri fattori specifici possono influenzare gli esiti di salute di un pisolino”, ha spiegato l’autore senior, Marta Garaulet, PhD, a visiting professor presso la Division of Sleep and Circadian Disorders presso il Brigham and Women’s Hospital.

“Uno studio precedente che abbiamo condotto su un’ampia popolazione di studio nel Regno Unito aveva scoperto che le sieste erano associate a un aumento del rischio di obesità. Volevamo determinare se questo sarebbe vero in un Paese in cui la siesta è più radicata culturalmente, in questo caso la Spagna, così come la durata della siesta è correlata alla salute metabolica. L’obesità è un crescente problema di salute che colpisce oltre un miliardo di persone in tutto il mondo. L’accumulo di grasso nel corpo è collegato al modo in cui il cibo viene digerito durante i processi metabolici. Comprendere come le scelte di stile di vita, come fare la siesta, influenzano questi meccanismi metabolici potrebbe aiutare i ricercatori a capire come abitudini influenzano la salute”.

I ricercatori hanno esaminato i dati di 3.275 adulti in una popolazione mediterranea, in particolare persone della regione spagnola di Murcia. Le caratteristiche metaboliche di base sono state misurate per i partecipanti presso l’Università di Murcia e un sondaggio sulle sieste ha raccolto ulteriori dettagli sui loro sonnellini e altri fattori legati allo stile di vita.

Ciò ha portato alle categorie di nessuna siesta, più breve di 30 minuti e più lunga di 30 minuti. Il team di ricerca ha scoperto che chi faceva la siesta lunga aveva un indice di massa corporea più alto e aveva maggiori probabilità di avere la sindrome metabolica (MetS) rispetto a quelli che non facevano la siesta.

Inoltre, rispetto al gruppo senza siesta, il gruppo con siesta lunga aveva valori più alti di circonferenza vita, livelli di glucosio a digiuno, pressione arteriosa sistolica (SBP) e pressione arteriosa diastolica.

I ricercatori hanno scoperto che le lunghe sieste erano associate a sonno notturno e cibo più tardi la sera, con un maggiore apporto energetico a pranzo e fumo di sigaretta, e con la posizione delle sieste (un letto rispetto a un divano), il che potrebbe spiegare i maggiori rischi associati a sieste di durata maggiore.

Sebbene si tratti di uno studio osservazionale ed è possibile che alcuni fattori possano essere una conseguenza dell’obesità e non della siesta di per sé, studi precedenti hanno indicato una relazione causale tra sonnellini e obesità, in particolare con l’obesità addominale.


La pennichella fa bene alla bilancia, ma a patto che sia breve

Il Tex Mex sorpassa pizza e spaghetti negli Usa

AGI – La superiorità della cucina italiana negli Stati Uniti è a rischio? A chiederselo, meglio a sostenerlo, è un report di Datassential, azienda di consulenza che si occupa di intercettare i trend nel settore food&beverage, segnala il Gambero Rosso.

La ricerca ha infatti evidenziato il sorpasso della cucina tex mex su quella italiana nei consumi negli Stati Uniti. L’azienda, però, sta anche consigliando i propri clienti, che le si rivolgono per strutturare i menu dei propri ristoranti, “di sostituire i comfort food tipici italiani come la pizza e la pasta con piatti latini, come i tacos”.

Racconta il sito del mensile gourmet che Datassential, azienda fondata nel 2001 che si occupa di trend nel mondo dell’enogastronomia, ora attraverso l’utilizzo di software di ricerca e di un’intelligenza artificiale, intercetta le nuove tendenze sul mercato e guida così piccoli e grandi marchi – nomi come Barilla, Pepsi, Burger King e Starbucks – e anche i ristoranti nella pianificazione della loro strategia.

Bene, “per stabilire quali sono i trend, uno dei metodi dell’azienda è quello di far valutare ai consumatori nuove proposte sulla base della descrizione, della foto e del prezzo”. Alla fine, l’analisi di oltre 4.500 nuove proposte nei menu dei ristoranti nel 2022 “ha messo in evidenza una crescente spinta verso piatti più esotici e piccanti, con un particolare focus sugli ingredienti e le preparazioni latinoamericane”.

Tra i dieci piatti di maggior tendenza e tra i più preferiti all’interno dei menu dei ristoranti, ci sono la birria (uno stufato tipico messicano), la chicken taco salad e le preparazioni che contengono il Tajin, un condimento a base di peperoncini in polvere, lime e sale marino.

Il punto è che la grande crescita demografica della fascia latina della popolazione americana “sta avendo un impatto notevole nel comparto del food&beverage”, ma secondo il Gambero, “per le sorti della cucina e dei ristoranti italiani” non c’è da preoccuparsi più di tanto, anche perché come sostenuto dal portale ItalianFoodNet “i consumatori possono apprezzare diverse cucine allo stesso tempo e mangiarne diversi tipi in una settimana, e, nonostante il cambio di abitudini, il 70% della Gen Z ancora afferma di avere un parere positivo sul cibo italiano”.

L’anno scorso, a creare scalpore, era stata un’altra ricerca secondo cui il 47% dei Baby Boomer “aveva scelto la cucina italiana come preferita e solo il 22% quella latina o messicana, mentre la Gen Z aveva indicato per il 45% quella Tex Mex e solo per il 26% quella italiana”. Il palato e i gusti, come è noto, sono volubili…  

  

 


Il Tex Mex sorpassa pizza e spaghetti negli Usa

Esser capaci di perdonare fa bene alla salute mentale

AGI – All’inizio della sua carriera di consulente matrimoniale, scrive il Washington Post, lo psicologo Everett Worthington “ha notato che molte coppie si irritano a causa delle offese e i torti subiti, ma si è anche reso conto che esse possono fare progressi solo se si perdonano a vicenda”. In che modo?

Da qui e sulla base delle sue stesse intuizioni, il dottor Worthington ha iniziato a sviluppare una teoria e una lunga carriera accademica che ha alla base “lo studio del perdono”, di fatto una nuova scienza. Al punto che assieme ad altri suoi colleghi ha recentemente completato uno studio condotto in cinque Paesi che dimostra che quando il perdono “viene insegnato, praticato e raggiunto, il risultato porta a un miglior benessere mentale generale”. Già, perché “il perdono può cambiare le dinamiche relazionali e prevenire fatti molto onerosi per la società”, ha precisato Worthington, professore emerito alla Virginia Commonwealth University. “Ci sono ingiustizie che viviamo ogni giorno. Le persone non devono necessariamente perdonare, è una lo libera scelta, possono farlo o non farlo”, ma farlo cambia molto

La sua terapia matrimoniale prevede esercizi e suggerimenti, specifiche tecniche “per imparare a lasciar correre”. L’ultima versione aggiornata della sua teoria e tecnica del perdono, che può essere scaricata gratuitamente in ben cinque lingue garantisce ad una persona di “diventare più indulgente in circa due ore” attraverso dei precisi esercizi mentali.

Lo studio, condotto tra 4.598 partecipanti sparsi tra Hong Kong, Indonesia, Ucraina, Colombia e Sud Africa, ha invitato metà di loro a svolgere e completare gli esercizi nell’arco di due settimane. Il risultato è stato che il perdono come metodo utilizzato “ha portato una riduzione statisticamente significativa dei sintomi di depressione e ansia” tra gli assistiti.

“Penso che l’esperienza di subire un torto sia abbastanza comune”, ha affermato VanderWeele, coautore della nuova ricerca che è stata presentata in una conferenza ad hoc ad Harvard, ma “abbiamo visto che questo metodo può esser utilizzato per affrontare il perdono e migliorare la salute mentale. Se esso fosse ampiamente sviluppato e diffuso, gli effetti sulla salute mentale generale della popolazione potrebbero essere sostanziali”.

Per esempio, “gli studi hanno dimostrato che i bambini che perdonano ottengono risultati scolastici migliori e che, nel complesso, il perdono può portare a una pressione sanguigna più bassa, un sonno migliore e, tra l’altro, anche da avere meno ansia”, riferisce la cronaca giornalistica.

Le chiavi per arrivare al perdono reciproco in una coppia sono: ricordare il dolore, dimostrare empatia, fare un gesto altruistico, impegnarsi nel perdono. Come dice Worthington: “Il perdono non risolve tutti i problemi, ma il perdono è liberatorio. È la risposta giusta al sentirsi offesi”.


Esser capaci di perdonare fa bene alla salute mentale

Fuorisalone, il laboratorio dove nascono mode e tendenze

AGI – A Milano è iniziata la settimana più importante dell’anno. La chiamano “design week”, certo, ma è l’unione profonda delle due anime che caratterizzano una città instancabile, a volte inaccessibile, ma sempre in continuo divenire. La prima è quella del Salone del Mobile, l’altra quella del Fuorisalone. Una, all’interno di Rho Fiera, rappresenta la tradizione artigiana internazionale in cui il know how italiano, tramandato di generazione in generazione, trova da sempre la sua massima espressione.

Tra i padiglioni ci si muove tra i grandi colossi di quella che chiamano “design industry” dove le conoscenze decennali sposano l’innovazione, dove la manualità dialoga con le nuove tecnologie e i materiali si piegano al design. L’altra, invece, è un’esplosione continua di creatività. Si disperde per i quartieri, li contamina e li trasforma tra installazioni, esperienze sensoriali e talk. È concettuale ma anche fisica. Sorprende ma fa riflettere. 

Il laboratorio del futuro

Dal 17 al 23 aprile Milano diventa, come suggerito dal tema di questa edizione, un vero “laboratorio del futuro” dove designer, artisti, artigiani e architetti presentano quelle opere destinate spesso a diventare tendenze e mode. 

Gli organizzatori spiegano che il fil rouge in cui si sono mossi espositori e artisti, in un anno di ri-partenze e r-incontri, è quello di immaginare “il futuro, in relazione all’unicità dei tempi in cui viviamo”.

Quello di quest’anno, perciò, “è un laboratorio che diventa occasione di confronto per costruire idee alternative attraverso momenti di dialogo collettivo, per mettere a fuoco opportunità e criticità, ma anche contraddizioni” di una società che si sta risvegliando dopo pandemia e crisi economiche. Il tutto con la volontà di provare a mettere sul tavolo “un metodo di lavoro condiviso”. Ovvero la giusta modalità “per costruire nel presente soluzioni per permetterci un futuro che potrebbe altrimenti diventare miraggio”. 

Circolarità, sostenibilità, ambiente. Dalla Torre Velasca, simbolico edificio dello skyline milanese, pronta a far vivere un’esperienza digitale totalmente progettata dalla designer Elena Salmistraro, all’orto botanico che anche quest’anno ospita un progetto di Eni tutto dedicato alla mobilità, a testimonianza dell’impegno dell’azienda verso il traguardo zero emissioni nette entro il 2050.

Nel “Tortona district”, invece, da non perdere il ritorno di “We will design” il format che Base ospita da diversi anni con esposizioni, workshop e appuntamenti che, quest’anno, abbracciano le dimensioni racchiuse nell’acronimo I.D.E.A. – Inclusione, Diversità, Equità e Accessibilità. Ma questa è solo la punta di un iceberg che nasconde centinaia di altri appuntamenti, stimoli, iniziative. L’importante è girare, scoprire, contaminarsi.

A completezza di ciò si aggiungono i numeri. Gli 800 eventi, come detto, sparpagliati nei vari distretti cittadini. L’indotto generato, oltre 220 milioni euro. I visitatori attesi, più di 325mila. Gli alberghi, quasi tutti esauriti, con punte del 95% tra il 17 e il 20 aprile. Così poche possibilità che molti milanesi, per guadagnare qualche soldino extra, hanno aperto le loro case e i loro appartamenti.

Soprattutto a chi viene dall’estero, il 65% del totale, in crescita rispetto allo scorso anno. Le stime sono quelle delle Confcommercio lombarde ma la sensazione in città, tra euforia e voglia di brindisi e incontri, è quella delle grandi occasioni.  Anche quest’anno non. Mancheranno infine le iniziative speciali.

Ci saranno ancora una volta gli ‘e.Reporter’ 100 studenti provenienti dalle facoltà Disegno Industriale e Architettura del Politecnico di Milano che racconteranno, con occhio esperto, tutto quello che accade durante la design week. Ma torna anche il ‘Fuorisalone Award’, il premio dedicato agli eventi più memorabili. Sarà difficile scegliere in questo mare magnum di proposte, spunti e condivisioni. Insomma, Milano è pronta, ancora una volta, a fare tendenza e a diventare capitale del design. E a mettere l’Italia al centro dei riflettori del mondo.


Fuorisalone, il laboratorio dove nascono mode e tendenze

Ammirare un tramonto riduce lo stress

AGI – Non c’è nulla quanto un’alba o un tramonto in grado di offrire suggestioni assolute e inchiodare una persona nella contemplazione. Ora una ricerca ci dice che “i tramonti sono tra i più bei fenomeni meteorologici passeggeri che si verificano durante una giornata” e che “le persone trovano albe e tramonti il ​​momento più bello e potente del giorno”. Lo scrive il Washington Post.

Tuttavia, la stessa ricerca sostiene anche che se “un cielo azzurro e limpido può migliorare lo stato mentale” di sicuro “guardare un tramonto o un’alba può offrire un’emozione in più”. Inclusu i ritratti d’un quadro o le immagini in bella mostra sui nostri salvaschermi tecnologici. “Lo stupore è in genere un sentimento difficile da evocare”, ha affermato l’autore principale dello studio, Alex Smalley, dottorando all’Università di Exeter in Inghilterra. Tuttavia “i sentimenti di stupore possono anche migliorare l’umore, aumentare le emozioni positive e diminuire lo stress”, chiosa il Post.

Sottolinea però Smalley: “Quando vediamo qualcosa di così profondo e travolgente che inchioda, i problemi sembra possano svanire o comunque ridursi nella loro proporzione, quindi alla fine non ci si preoccupa poi più di tanto”. Albe e tramonti danno sollievo, insomma.

Tuttavia non tutti i giorni offrono questi spettacoli. Allora, qual è il periodo migliore dell’anno per vedere un tramonto? Cosa rende un’alba e un tramonto così vividi? E possiamo prevederli?, si chiede il quotidiano della capitale americana. Per esempio, cosa succede nell’atmosfera quando il sole sorge o tramonta? La risposta è che la luce solare “segue un percorso breve e abbastanza diretto attraverso l’atmosfera fino al suolo” ma “la sua posizione si sposta tangenzialmente al suolo e il percorso dal sole a terra s’allunga” ed è qui che “entrano in gioco le varie sfumature di colore”, analizza il Post, come si trattasse d’un filtro che si applica alla macchina fotografica.

Qual è la stagione migliore per i tramonti? Secondo il giornale, “l‘estate è un tempo critico per vedere i tramonti” perché c’è un aumento dell’inquinamento atmosferico a causa dei frequenti incendi. Il risultato è che le particelle che si disperdono nell’aria “agiscono fondamentalmente come tanti mini specchi, riflettendo la luce al sole oppure decisamente bloccandola” mentre “il momento migliore è durante il tardo autunno e l’inverno” quando l’aria è più pulita, tersa nelle giornate fredde e ventose. Ma anche le nuvole possono contribuire a migliorarne l’effetto, “riflettendo ulteriormente la luce solare sul terreno”.

E se si perdono i tramonti insieme alle albe, cosa succede? Non è facile cogliere l’attimo giusto. Anche perché si tratta di momenti “molto effimeri”, tant’è che pure quando si osservano le loro sfumature cambiano nel corso dei minuti se non dei secondi. Quindi prevedere un tramonto da brividi e irripetibile non è né facile né programmabile. Bisogna saper cogliere l’attimo…, quello giusto. 

 


Ammirare un tramonto riduce lo stress

Addio a Mary Quant, la stilista che inventò la minigonna

AGI – La stilista britannica Mary Quant, che rivoluzionò la moda popolarizzando la minigonna, è morta a 93 anni. Lo ha reso noto la sua famiglia. Quant, figura emblematica degli “Swinging Sixties”, si è spenta “serenamente” nella propria casa nel Surrey, nell’Inghilterra meridionale. 


Addio a Mary Quant, la stilista che inventò la minigonna

Un chihuahua di 13 cm nel Guinness, è il cane più corto al mondo

AGI – Alta soli 9,14 cm e lunga 12,7, Pearl un chihuahua di sesso femminile che vive a Orlando, in Florida, è entrata nel Guinness dei record mondiali come cane più corto al mondo. Dai suoi padroni, che hanno altri tre cani, viene definita “un pò una diva, piccola come una palla”. Effettivamente, in base alle misurazioni del veterinario Giovanni Vergel, del Crystal Creek Hospital, Pearl ha la lunghezza di un ghiacciolo, di una banconote di dollaro e può stare in una tasca.

In realtà il record rimane in famiglia: la cagnolina entra nel Guinness dei primati grazie a dimensioni inferiori alla ‘zia’, subentrando quindi a Milly, sorella identica alla madre di Pearl, di pochi centimetri più ‘grande’. Quando è nata, nel settembre 2020, poco prima della morte di Milly, Pearl pesava meno di 28 grammi e da allora è aumentata fino a 553 grammi, grazie in parte alla sua predilezione per pollo, salmone e altri simili “cibi di alta qualità”, ha dichiarato la proprietaria di Pearl, Vanesa Semler. “Siamo fortunati ad averla e ad avere questa opportunità unica di battere il nostro record e condividere con il mondo questa incredibile notizia”, ha aggiunto Semler, che possedeva anche Milly.

Pearl è almeno il secondo chihuahua negli Stati Uniti a conquistare titoli internazionali dalla fine dello scorso anno. A gennaio, Guinness ha annunciato pubblicamente che Spike, un mix di chihuahua di 23 anni con sede in Ohio, era il cane piu’ anziano del mondo.  Un paio di settimane dopo, un cane da guardia del bestiame di 30 anni, nel Portogallo rurale, Bobi, ha però strappato il titolo a Spike.


Un chihuahua di 13 cm nel Guinness, è il cane più corto al mondo

Il modo in cui usi il computer in ufficio indica il tuo livello di stress 

AGI – Il modo in cui le persone digitano e usano il mouse del computer potrebbe essere un indicatore di stress, addirittura migliore della loro frequenza cardiaca. Sono arrivati a questa conclusione due ricercatori svizzeri. 

In un report ad hoc, i ricercatori del Politecnico federale di Zurigo (ETHZ) hanno osservato 90 partecipanti in un laboratorio mentre svolgevano compiti d’ufficio reali, come programmare appuntamenti o registrare e analizzare dati.

Hanno registrato il comportamento dei partecipanti al mouse e alla tastiera, nonché la loro frequenza cardiaca, e hanno chiesto regolarmente ai partecipanti quanto si sentissero stressati.

Mentre ad alcuni partecipanti è stato permesso di lavorare indisturbati, metà del gruppo è stato ripetutamente interrotto da messaggi di chat e gli è stato chiesto di partecipare a un colloquio di lavoro.

I ricercatori hanno scoperto che le persone stressate digitano e muovono il mouse in modo diverso dalle persone rilassate.

Le persone stressate muovono il mouse più spesso e meno accuratamente e coprono distanze maggiori sullo schermo”, ha detto l’autrice dello studio, Mara Nagelin.

I ricercatori hanno anche scoperto che le persone stressate in ufficio commettono più errori di battitura e tendono a scrivere in modo discontinuo, con molte brevi pause.

Le persone rilassate, invece, fanno meno pause ma più lunghe quando scrivono al computer.

Il legame tra lo stress e il comportamento della tastiera e del mouse può essere spiegato dalla cosiddetta teoria del rumore neuromotorio.

“L’aumento dei livelli di stress ha un impatto negativo sulla capacità del nostro cervello di elaborare le informazioni. Inoltre, influisce sulle nostre capacità motorie”, ha spiegato la psicologa e coautrice Jasmine Kerr.

I ricercatori hanno affermato che è urgente trovare metodi affidabili per rilevare l’aumento dello stress, sottolineando che in Svizzera un dipendente su tre soffre di stress sul lavoro.

“Le persone colpite spesso non si rendono conto che le loro risorse fisiche e mentali stanno diminuendo fino a quando non è troppo tardi”, hanno detto.

Attualmente stanno testando il loro modello utilizzando un’app in modo tale da registrare i dati dei dipendenti che hanno accettato di far registrare l’uso del mouse e della tastiera, nonché la frequenza cardiaca, mentre lavorano. L’obiettivo, hanno precisato, è quello di “aiutare i lavoratori a identificare precocemente lo stress, e non quellpo di creare uno strumento di monitoraggio per le aziende”.

 


Il modo in cui usi il computer in ufficio indica il tuo livello di stress 

Le relazioni poliamorose fanno bene alle coppie. Lo dice un filosofo

AGI – Più duratura, più adatta a crescere i bambini e più felice: è la relazione poliamorosa secondo Justin Clardy, professore di filosofia alla Santa Clara University, una delle principali università gesuite negli Stati Uniti. Il suo libro “Why It’s OK to Not Be Monogamous” è un elogio delle relazioni poliamorose che smonta, a suon di numeri e ragionamenti filosofici, i più comuni pregiudizi su questa nuova forma di relazione affettiva in forte aumento, soprattutto tra i giovani. Con il termine poliamore si indica la possibilità di intrattenere più di una relazione intima contemporaneamente, con il consenso esplicito e consapevole di tutte le persone coinvolte. Viene coniato e usato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1990 da Morning Glory Zell-Ravenheart (pseudonimo di Diana Moore), leader di una comunità neopagana americana, che pubblica nella rivista “Green Egg Magazine”, fondata col marito Oberon Zell-Ravenheart, un articolo intitolato A Bouquet of Lovers: strategies for responsible open relationships, in cui spiega i meccanismi del suo matrimonio aperto ed espone il suo ideale di relazione ‘multipla’, basata sul coinvolgimento sessuale e sentimentale di più persone contemporaneamente.

Dal punto di vista linguistico, si rifà alla parola inglese polyamory, formata dal prefisso di origine greca poly- e dal sostantivo latino amor ‘amore’ con l’aggiunta del suffisso nominale -y, sul modello di polygamy. Dice Clardy che i poliamorosi affrontano lo stigma e la discriminazione nella loro vita quotidiana; tuttavia, da una ricerca emerge che avere una relazione romantica con più di una persona alla volta può offrire benefici emotivi e fisici a tutte le parti. “La monogamia” – sostiene Clardy – “è spesso descritta come la forma ideale di amore romantico in molte società moderne. Dalle storie che leggiamo da bambini, ai film e ai libri che consumiamo da adulti, ci viene detto che per raggiungere la felicità dobbiamo trovare la nostra unica vera anima gemella con cui condividere il resto della nostra vita”. “Allo stesso tempo, – prosegue – stati e governi offrono incentivi finanziari, legali e sociali alle coppie sposate. Nel frattempo, uomini e donne che si discostano da queste norme monogame sono trattati come paria e svergognati pubblicamente.

Tuttavia, nonostante ciò, le relazioni poliamorose sono in aumento. Si stima che tra il 4 e il 5% della popolazione statunitense sia attualmente coinvolta in relazioni consensualmente non monogame”. Uno studio del 20210, citato nel libro, ha rilevato che circa un adulto su 500 negli Stati Uniti si è identificato come poliamoroso. Un numero crescente di studiosi di giurisprudenza e politica sta sostenendo la necessità di riforme delle attuali leggi sulla famiglia in modo che riconoscano l’ampia varietà di relazioni personali intime in cui gli esseri umani possono prosperare. “I poliamorosi corrono il rischio di essere licenziati, negati l’alloggio o la cittadinanza, o che i loro figli vengano portati via da loro a causa delle loro identità e stili di vita poliamorosi”, afferma Justin Clardy, professore di filosofia alla Santa Clara University. “Tuttavia, in molti casi le relazioni poli sono più durature di quelle monogame, perché la loro flessibilità consente loro di soddisfare esigenze mutevoli nel tempo in un modo che le relazioni monogame non fanno”.

Il professor Clardy ha dedicato la sua carriera accademica allo studio dell’eticità degli stili di relazione non monogami e delle ingiuste conseguenze politiche affrontate dai non monogami. Nel suo primo libro, Clardy riassume i principali argomenti che vengono comunemente addotti a sostegno della monogamia. Quindi smonta ognuno con una ricerca approfondita. Ad esempio, esiste una teoria secondo cui gli esseri umani si sono evoluti per essere monogami perché i bambini umani richiedono maggiori cure, poiché nascono in un’età gestazionale più giovane rispetto ad altri mammiferi. Il professor Clardy spiega: “La monogamia è quindi vista come l’ordine ‘naturale’ delle cose.

Tuttavia, molte coppie monogame omosessuali ed eterosessuali o non vogliono o non possono avere figli, ma questo non esclude loro di potersi sposare e di godere dei diritti e dei privilegi che derivano dal matrimonio. “Altri potrebbero vedere la monogamia come un comando morale dato da Dio, tuttavia, questo significa che gli atei e gli agnostici sono esclusi dall’amore romantico, anche se si trovano in relazioni romantiche monogame felici, sane e soddisfacenti?” Uno degli argomenti più comuni contro il poliamore è che incita dolorosi sentimenti di gelosia; tuttavia, anche le coppie monogame provano questa emozione.

In effetti, Clardy sostiene che in molti casi la vulnerabilità, la possessività e il senso di diritto all’amore di un’altra persona sono più al centro della gelosia di quanto ci teniamo ad ammettere. Clardy sostiene che il poliamore, d’altra parte, può giovare alle relazioni focalizzando nuovamente la nostra attenzione su come se la cava il proprio partner nelle altre relazioni intime. “Se governate dal mutuo consenso e dalla comprensione, le relazioni poliamorose possono consentire alle persone di condividere più pienamente la felicità degli altri”, afferma Clardy. “Questo può essere ottenuto affrontando e gestendo la propria vulnerabilità, ammorbidendo la nostra propensione alla gelosia e imparando a prestare attenzione alla prosperità degli altri”. Alcuni dei critici più aspri dei poliamoristi sostengono che la non monogamia è dannosa per l’unità familiare, portando al divorzio e alla disgregazione delle famiglie.

Tuttavia, secondo Clardy, le famiglie poliamorose esistono e prosperano, e un tale accordo può effettivamente giovare ai bambini. “Potrebbe non essere necessario un intero villaggio per crescere un bambino, ma è ovvio che, a parità di condizioni, avere più di un ‘padre’ o ‘madre’ come badante può essere ancora più favorevole a soddisfare i bisogni dei bambini, poiché i bambini possono essere amati e nutriti in famiglie non convenzionali”, afferma Clardy. “In effetti, potrebbe risultare che in media l’esistenza di più di due caregiver sia l’accordo genitoriale superiore.” Nel capitolo finale del suo libro, Clardy sostiene che è moralmente sbagliato imporre la monogamia alla società e chiede allo stato di sostenere le relazioni poliamorose oltre a quelle monogame. “Le relazioni poliamorose hanno bisogno del sostegno e della protezione che lo stato è l’unico in grado di fornire e che è nella posizione migliore per realizzare”, sostiene Clardy. “Solo perché un modo di relazionarsi potrebbe deviare da norme sociali consolidate come la monogamia, ciò non significa che non abbiano un valore considerevole, moralmente, socialmente o politicamente”, conclude il filosofo Usa. 


Le relazioni poliamorose fanno bene alle coppie. Lo dice un filosofo

Palazzo Ripetta riapre e viene restituito a Roma un pezzo di storia

AGI – Da poco più di un mese ha riaperto le porte Palazzo Ripetta, hotel a 5 stelle indipendente all’interno del palazzo dell’ex Conservatorio della Divina Provvidenza, risalente al XVII secolo. Situato nella storica via di Ripetta, tra Piazza del Popolo e Piazza di Spagna e a due passi dall’Ara Pacis e dal Mausoleo di Augusto, Palazzo Ripetta ri-nasce con un nuovo concept, che coniuga la cultura con il design e che vuole raccontare una nuova idea di hotellerie, nella quale vivono in perfetta armonia arte, cultura e storia, all’insegna del Made in Italy, puntando a diventare un nuovo punto di riferimento della città.

L’imponente opera di restauro dell’intero edificio, una delle strutture di maggior interesse storico-artistico nel cuore della Capitale, ha preso l’avvio nel 2020. Le 78 camere e suite sono state ripensate secondo nuovi canoni espressivi: tecnologia, comfort e ricercatezza dei materiali – i tessuti sono prodotti artigianalmente in esclusiva per l’albergo – fanno di Palazzo Ripetta una vera opera d’arte unica nel suo genere. Le sue 5 sale sono poi la location ideale per ospitare eventi, tra meeting di lavoro, cocktail, eventi privati, grazie a spazi adattabili a ogni esigenza.

“L’intento non è solo quello di dare alla città un nuovo punto di riferimento con un edificio di grande pregio, ma anche di raccontare una nuova idea di hotellerie con al centro l’arte, la storia e cultura del nostro Paese. – ha dichiarato Giacomo Crisci, imprenditore e amministratore del Gruppo che ha voluto e curato il progetto – Vogliamo che i nostri ospiti vivano un’esperienza unica ed esclusiva ed è per questo che abbiamo selezionato materiali e prodotti dell’eccellenza italiana”.

Gli ospiti possono vivere un’esperienza di soggiorno muovendosi tra opere d’arte e all’interno di una struttura essa stessa di grande valore storico-artistico. L’edificio seicentesco, acquisito negli anni sessanta dal Gruppo Ginobbi, fu oggetto di un primo restauro nel 1968, a opera dell’architetto Luigi Moretti, grande protagonista del panorama architettonico italiano del Novecento.

Suoi gli stucchi originali e le volte che ancora oggi si possono ammirare in alcune sale del palazzo. All’interno, una cappella affrescata del 1600 convive armoniosamente con opere d’arte di varie epoche, tra le quali si annovera una Sfera di Arnaldo Pomodoro.

Cultura, ospitalità italiana, arte e buon cibo non solo per gli ospiti dell’hotel, ma anche per cittadini e turisti che potranno entrare liberamente per ammirare il Palazzo e le opere d’arte al suo interno. All’interno della struttura, inoltre, lo spazio di Piazzetta Ripetta è pensato come una nuova piazza romana, dove incontrarsi per bere, mangiare e rilassarsi, un luogo dove darsi appuntamento per la colazione, un aperitivo, o magari per un cocktail dopo cena.

Conclude Crisci: “Ho voluto restituire alla città un pezzo di storia e di cultura, una bellezza dimenticata che merita di essere riscoperta. Un pezzo di Roma che mancava, come un puzzle incompleto che, finalmente, è concluso. L’intenzione è di affermarci come uno degli alberghi di lusso più iconici della Città. Un albergo che appartiene alla città di Roma così come al resto del mondo”.

Il progetto di rinnovamento è a cura degli studi Fausta Gaetani Design e M.O.I. Architetti, che hanno fatto dialogare il lavoro di Moretti e la storia del palazzo con una nuova visione della classicità romana e del lusso contemporaneo. Il concept ristorativo è stato curato dalla Laurenzi Consulting e dallo studio di architettura di Roberto Liorni.


Palazzo Ripetta riapre e viene restituito a Roma un pezzo di storia