Samsung presenta il primo display OLED al mondo con sensore di impronte digitali e pressione sanguigna integrato

Samsung ha svelato quello che potrebbe essere il display OLED su un futuro iPhone.

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Samsung presenta il primo display OLED al mondo con sensore di impronte digitali e pressione sanguigna integrato

Il Metagiro d’Italia, tra tour virtuali e collezioni digitali

AGI – Collezioni digitali, spazi virtuali, nuovi sguardi per vivere al meglio l’esperienza della Corsa Rosa. Il Giro d’Italia, oltre a percorrere alcune tra le strade più belle del nostro Paese, è quest’anno ancora più proiettato verso il futuro grazie ad alcuni prodotti innovativi, tra collezionismo e intrattenimento, nati dalla collaborazione tra  RCS Sport e VVITA, brand italiano di riferimento nel mondo Web3.

L’iniziativa, accompagnata da una campagna dal titolo ‘Nel Paese Delle Meravigli3′, è pensata per offrire agli utenti un modo completamente nuovo e coinvolgente per vivere la magia del Giro. Le nuove collezioni digitali presenti all’interno di VVITA-collections permettono infatti di acquisire i simboli che hanno fatto la storia del Giro d’Italia, ricreati in computer grafica 3D e resi unici e autentici dall’associazione alla blockchain. 

Oltre a questo sarà possibile ricevere sempre un benefit, come l’abbonamento digitale a La Gazzetta dello Sport, la Maglia Rosa fisica e il pass per accedere all’ultima tappa di Roma e seguire i corridori a bordo dell’auto ufficiale dell’organizzazione. Non mancheranno le quattro maglie autografate dai vincitori, oggetto di un drop esclusivo dedicato al Trofeo Senza Fine che si aprirà a fine Giro.

Il Metagiro

Con le collezioni debutta anche il Metagiro, la nuova casa digitale del Giro d’Italia, uno spazio esplorabile in 3D che non ha precedenti nel mondo delle competizioni ciclistiche e pensato per espandere i confini dell’esperienza reale attraverso gli straordinari strumenti offerti dalla tecnologia digitale.

Il Metagiro proietta gli utenti in un borgo futuristico che supera i confini dello spazio e del tempo, tratteggiando una linea di continuità fra passato, presente e futuro. Al suo interno una serie di aree tematiche in continua evoluzione che daranno ai fan del Giro la possibilità di godere di una serie di esperienze immersive non solo durante i 21 giorni della corsa ma per tutto l’anno. 

Le porte del Metagiro si sono aperte in concomitanza con la partenza della competizione ciclistica. Da PC o da qualsiasi dispositivo mobile, gli utenti potranno visitare l’ambiente virtuale per avere informazioni sulle tappe e scoprire le straordinarie riproduzioni in 3D del Trofeo Senza Fine, della Maglia Rosa e delle altre maglie simbolo. 

Nuove aree tematiche e nuove funzioni verranno sbloccate nel corso del tempo trasformando il Metagiro in un vero e proprio metaverso in grado di offrire esperienze sempre più interattive e appassionanti. Sarà possibile creare avatar personalizzati, rivedere i momenti epici, entrare nella Hall of Fame dei campioni che hanno fatto la storia del Giro, effettuare acquisti, sfruttare gli elementi della gamification per acquisire benefit unici legati alla Corsa Rosa.

Per Paolo Bellino, Amministratore Delegato e Direttore Generale di RCS Sport, “il processo di trasformazione digitale del Giro d’Italia rappresenta una priorità per la nostra organizzazione e la Partnership con VVITA ne è la dimostrazione, assieme, potremo raggiungere nuove audience e nuovi target digitali, accrescendo ulteriormente la notorietà del Brand Giro d’Italia e offrendo alla nostra fan base strumenti digitali innovativi come il Metagiro.”

A questo si aggiungono anche le dichiarazioni di Achille Minerva e Marco Capria, fondatori di VVITA: “La rinnovata partnership con RCS Sport ci permette di portare il Giro d’Italia sempre di più nel futuro. L’utilizzo delle tecnologie Web3 rappresenta in questo senso un modo davvero straordinario per espandere i confini dell’esperienza reale, esaltando tutto il patrimonio di valori che hanno reso il Giro d’Italia un’eccellenza nel mondo.”


Il Metagiro d’Italia, tra tour virtuali e collezioni digitali

Lettore d’impronte digitali a ultrasuoni per smartphone: cos’è e come funziona

Da diversi anni ormai gli smartphone, che siano Android o iOS, propongono diversi metodi di autenticazione per l’accesso. Questi sono fondamentali, visto che ormai all’interno dei dispositivi mobili ci sono tutte le nostre informazioni personali. Inoltre, tali metodi di autenticazione vengono usati da Android come da iOS per accedere a servizi di pagamento, di identità digitale e non solo. Da qui comprendiamo quanto sia importante che tali metodi di autenticazione siano sicuri.

Tra i metodi di autenticazione più recenti troviamo il lettore d’impronte a ultrasuoni. La lettura dell’impronta è concettualmente il metodo di autenticazione arrivato prima su smartphone, e quello ultrasonico rappresenta la sua ultima evoluzione. Per chiarire subito, il lettore d’impronte ultrasonico corrisponde al componente usato per realizzare i sensori d’impronte in-display, ovvero quelli integrati sotto al display degli smartphone.

Andiamo quindi a vedere in cosa consiste il suo funzionamento, come è diffuso nel mercato attuale e quali sono le principali differenze rispetto agli altri metodi di autenticazione.

I sensori d’impronte ultrasonici sono basati sulla tecnologia di decodifica delle informazioni tramite ultrasuoni. Gli ultrasuoni sono delle onde sonore che i trovano a frequenze non udibili dall’orecchio umano. La tecnica a ultrasuoni viene usata molto nel settore medico e industriale, come ad esempio in ecografia dove gli ultrasuoni vengono usati per costruire immagini bidimensionali o tridimensionali del sito indagato.

In tecnica delle immagini, la tecnica a ultrasuoni prevede l’invio delle onde sonore sul sito da mappare e analizzare come queste vengono riflesse o rifratte dallo stesso sito analizzato. In base alle onde riflesse e rifratte si avrà una rappresentazione bidimensionale della struttura analizzata. Nel caso dei lettori d’impronte, la struttura da analizzare corrisponde al profilo dell’impronta digitale.

Quindi tali sensori prevedono un trasmettitore e un ricevitore per decodificare gli ultrasuoni in esame. Chiaramente è necessario un certo tempo affinché gli ultrasuoni emessi vengano riflessi e analizzati. Qualcomm, che è una delle aziende maggiormente attive nella realizzazione di questi componenti, quantifica un ritardo di circa 250 ms tra l’invio dell’impulso ultrasonico e la risposta del sensore.

È sottolineare che, nel caso dei lettori d’impronte a ultrasuoni, la mappatura della struttura, ovvero del profilo del dito degli utenti, può avvenire in tre dimensioni. Questo aggiunge un rilevante grado di sicurezza alla tecnologia usata.

Come appena menzionato, Qualcomm è una delle aziende che maggiormente ha lavorato alla realizzazione di sensori d’impronte ultrasonici. L’azienda statunitense ha realizzato uno dei primi sensori ultrasonici per il mercato consumer nel 2018, compatibile con il processore Snapdragon 855.

I primi modelli con sensore d’impronte ultrasonico ad arrivare sul mercato sono i Galaxy S10 e S10 Plus di Samsung. A questi sono seguiti i modelli della serie Galaxy S20, mentre con la serie Galaxy S21 è arrivata la seconda generazione di sensori d’impronte ultrasonici realizzata da Qualcomm. Questa avrebbe incrementato la velocità di riconoscimento dell’impronta, che per alcuni utenti non era particolarmente alta nei modelli precedenti. Anche sugli attuali top di gamma, i Galaxy S22, troviamo questa tipologia di sensore.

Tra le ultimissime novità con sensore d’impronte a ultrasuoni troviamo il nuovo Vivo X80 Pro. Il dispositivo dell’azienda cinese, appena presentato anche in Europa, presenta un sensore a ultrasuoni di nuova generazione e con superficie più ampia. Questi miglioramenti dovrebbe portare a una maggiore rapidità e accuratezza del sensore stesso.

Gli altri produttori di smartphone sembrano non voler sposare la strada del sensore d’impronte a ultrasuoni. Alcuni di questi, la maggioranza, opta per sensori d’impronte nel display ottici, ovvero basati su una mappatura bidimensionale dell’impronta. Tra i modelli più recenti con questa tecnologia troviamo ad esempio i Pixel 6 di Google. I sensori capacitivi, ovvero quelli che non possono essere integrati sotto al display, li troviamo sui modelli di smartphone meno recenti o di gamma media e medio-bassa.

I sensori d’impronte a ultrasuoni rappresentano un ottimo vantaggio per chi intende avere un certo grado di sicurezza e nessun sensore d’impronte posteriore / laterale sul proprio smartphone. La sicurezza dei sensori a ultrasuoni è maggiore rispetto a quelli ottici. La mappatura dell’impronta avviene in tre dimensioni, mentre con quelli ottici si ha una struttura bidimensionale.

I sensori ultrasonici tipicamente hanno uno spessore di appena 0,15 millimetri e possono scansionare fino a 800 µm di vetro e fino a 650 µm di alluminio. Questo li rende pienamente compatibili con l’integrazione sotto al display degli smartphone.

La conformazione tecnica di un sensore ultrasonico implica anche una maggiore resistenza agli agenti esterni: risulta difficile da manomettere, così come è resistente al sudore e all’umidità, fattori che possono essere frequenti in un uso quotidiano su smartphone.

Dal punto di vista della sicurezza, la soluzioni ultrasoniche che troviamo per il mercato smartphone, come ad esempio i sensori di Qualcomm che troviamo prettamente nei modelli di Samsung, prevedono protocolli di crittografia per l’elaborazione delle informazioni. Tra queste ce ne sono di altamente personali, come la struttura biometrica dell’impronta digitale.

I sensori ultrasonici sviluppati da Samsung offrono anche il supporto all’autenticazione online senza password tramite il protocollo Fast Identity Online (FIDO) Alliance. Questo costituisce un ulteriore aspetto a favore di tale tecnologia di sensori, rispetto a quelli ottici che troviamo sul mercato smartphone.

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Lettore d’impronte digitali a ultrasuoni per smartphone: cos’è e come funziona

Il tasto “Invio” non è una difesa valida per proteggere dati digitali sensibili

AGI – Quando si sottoscrive una newsletter, ci si registra su un sito, si acquista un biglietto, si fa una prenotazione di un hotel o anche il check-out online, si dà per scontato che se si digita male l’indirizzo e-mail o si cambia idea, basta uscire dalla pagina e tutto finisce. La convinzione è che non sia successo nulla finché non si preme il pulsante “Invia” e che i dati che inseriamo non andranno da nessuna parte, finché appunto non premiamo il pulsante di invio. Non è così. I nostri dati sono già andati da qualche parte. Dopo aver analizzato più di 100 mila siti Web, un gruppo di ricercatori della KU Leuven, della Radboud University e dell’Università di Losanna ha scoperto che un numero impressionante di siti Web raccoglieva di nascosto tutto ciò che veniva digitato in un modulo online, anche se gli utenti cambiavano idea e lasciavano il sito senza premere il tasto Invio. 

Le nostre e-mail

Al centro di questa trama ci sono i nostri indirizzi mail. “I marketer si affidano sempre più a identificatori statici come numeri di telefono e indirizzi e-mail perché le aziende tecnologiche stanno gradualmente abbandonando il monitoraggio degli utenti basato sui cookie per motivi di privacy. “Tracciare gli utenti su Internet con i cookie sta diventando sempre più problematico per molte aziende”, ha sottolineato Güneş Acar,  professore e ricercatore della Radboud University, a capo della squadra che si è occupata dello studio.

Raccolta senza consenso

La ricerca ha utilizzato un software che simulava un utente reale, che visitava cioè pagine Web e compilando pagine di accesso o registrazione senza inviare, e ha rilevato in particolare che 1.844 siti Web nell’Ue avevano raccolto i propri indirizzi e-mail senza il consenso dell’utente. Negli Stati Uniti è stato anche peggio, con 2.950 siti che hanno fatto lo stesso.

“Considerando la sua portata, l’invadenza e gli effetti collaterali non intenzionali, il problema della privacy su cui indaghiamo meriterebbe una maggiore attenzione da parte dei fornitori di browser, degli sviluppatori di strumenti per la privacy e delle agenzie di protezione dei dati”, hanno avvertito gli autori nello studio.

Servizi di marketing e analisi dei dati

Il fatto è questo: molti siti incorporano servizi di marketing e analisi di terze parti, che raccolgono i dati dei moduli, indipendentemente dall’invio. “Se c’è un pulsante “Invia” su un modulo, la ragionevole aspettativa è che faccia qualcosa, che invierà i tuoi dati quando fai clic – ha spiegato sempre Güneş Acar – siamo rimasti molto sorpresi da questi risultati. Pensavamo che forse avremmo trovato alcune centinaia di siti in cui la email viene registrata prima dell’invio, ma questo ha superato di gran lunga le nostre aspettative”.

Gli autori dello studio hanno scoperto che i siti Web in cui gli indirizzi e-mail sono stati raccolti, in Europa includevano anche testate internazionali. Dopo aver pubblicato lo studio, i ricercatori hanno anche scoperto che Meta e TikTok stavano utilizzando i propri tracker di marketing, invisibili, per raccogliere dati anche da altre pagine web.

I siti Web che avevano utilizzato Meta Pixel o TikTok Pixel, frammenti di codice che consentono ai domini dei siti Web di tracciare l’attività dei visitatori, avevano una funzione di “corrispondenza avanzata automatica”, che consente alle piattaforme dei social media di acquisire dati dai siti Web dell’inserzionista.

Concretamente che cosa è successo? Quando si inseriva un indirizzo e-mail nella pagina in cui era presente Meta Pixel, i ricercatori hanno scoperto che facendo clic sulla maggior parte dei pulsanti o collegamenti che portavano gli utenti lontano da quella pagina, i dati personali venivano presi da Meta o TikTok.

Secondo le stime dello studio negli Stati Uniti 8.438 siti potrebbero aver fatto arrivare dati a Meta tramite il suo Pixel, mentre 7.379 siti potrebbero essere stati interessati dagli utenti dell’U4.

Come avviene il tracciamento

I ricercatori, che presenteranno i risultati di questo studio alla conferenza sulla sicurezza di Usenix ad agosto, hanno sottolineato che, in sostanza, la pratica è simile a quella dei cosiddetti key logger, programmi dannosi che registrano tutto quello che un determinato soggetto digita. I ricercatori hanno notato però alcune diversità in questa pratica. Alcuni siti hanno registrato i dati battuta per battuta, molti hanno acquisito gli invii completi quando gli utenti hanno fatto clic su quello successivo. 

Le differenze. “In alcuni casi, quando fai clic sul campo successivo – ha precisato Asuman Senol, ricercatore presso KU Leuven e coautore dello studio – raccolgono quello precedente, come se fai clic sul campo della password e loro raccolgono l’e-mail, o semplicemente fai clic in un punto qualsiasi e raccolgono immediatamente tutte le informazioni. Non ci aspettavamo di trovare migliaia di siti Web. Negli Stati Uniti i numeri sono davvero alti, il che è interessante”. 

Secondo i ricercatori le differenze potrebbero essere legate al fatto che le aziende sono più caute riguardo al tracciamento degli utenti e integrano con un minor numero di terze parti, a causa del regolamento generale sulla protezione dei dati dell’UE. Ma sottolineano anche che questa è solo una possibilità .

Per Güneş Acar “il rischio è che gli utenti così verranno tracciati in modo ancora più efficiente: possono cioè essere monitorati su diversi siti Web, su sessioni diverse, su dispositivi mobili e desktop. Un indirizzo email è un identificatore così utile per il tracciamento, perché è globale, unico, costante. Non puoi cancellarlo come cancelli i tuoi cookie. È un identificatore molto potente”.


Il tasto “Invio” non è una difesa valida per proteggere dati digitali sensibili

NFT, criptovalute, pagamenti digitali: rivoluzione o speculazione? – iPhoneItalia Podcast S11 E19

NFT e Criptovalute sono una rivoluzione che cambierà il nostro futuro? E poi… Samsung… perché lo fai? Perché?

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NFT, criptovalute, pagamenti digitali: rivoluzione o speculazione? – iPhoneItalia Podcast S11 E19

Google prepara il lancio delle chiavi digitali per auto in Android

La possibilità di poter aprire la vostra auto con un semplice tap sullo smartphone non è fantascienza e diversi produttori di auto già lo propongono con i loro servizi proprietari. Google sta per introdurre su larga scala questa soluzione.

XDA ha infatti svolto il teardown dell’ultima versione dei Play Services, evidenziando importanti riferimenti al servizio denominato Digital Car Keys. Si tratterà, come suggerisce il nome, della possibilità di sbloccare l’auto tramite il proprio smartphone Android tramite una chiave digitale preventivamente impostata. La funzionalità dovrebbe tecnicamente basarsi sulla combinazione di comunicazioni NFC e UWB.

Queste chiavi digitali verranno molto probabilmente impostate all’interno del profilo Google Pay personale, e verranno eliminate automaticamente nel caso in cui l’utente non imposterà un metodo di sblocco del dispositivo entro 5 minuti dalla configurazione.

Google ha confermato che la novità arriverà ufficialmente per i suoi dispositivi Pixel e per alcuni modelli Samsung. Non è stato specificato in base a quale criterio verrà stabilita la compatibilità con i vari modelli di auto e gli eventuali requisiti tecnici dell’auto. Ne sapremo di più a valle dell’evento del 19 ottobre in cui conosceremo ufficialmente i Pixel 6.

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Google prepara il lancio delle chiavi digitali per auto in Android

Così la pandemia ha fatto crescere la domanda di servizi digitali

AGI – Aumentano il bisogno di connettività e l’adozione di servizi digitali. Ma crescono anche le paure legate a un uso eccessivo delle tecnologia. Che la pandemia abbia avuto questi effetti non è una sorpresa: il rapporto Digital Home Study di EY, però, quantifica bisogni e timori. 

La connettività è un bisogno

Il Covid-19 ha spiegato in modo pratico cosa significhi avere una connettività efficiente. Più di un italiano su due la considera oggi irrinunciabile. E uno su quattro si dice anche pronto a spendere di più pur di averla. Per quanto l’esigenza sia nata durante i mesi di lockdown, tra dad e lavoro da remoto, sembra che il bisogno di connettività sia destinato a restare oltre l’emergenza.

La scoperta di nuovi servizi

La pandemia ha spinto a sperimentare nuovi servizi digitali: una tendenza globale, che però in Italia appare ancora più marcata. Secondo il report di EY, un italiano su tre ha utilizzato per la prima volta una videochiamata per lavoro, contro il 20% dei francesi e il 18% dei tedeschi. La didattica online è stata una novità per il 30% degli italiani (percentuale ben più robusta rispetto al 12% della Francia e all’11% della Germania). Il 23% ha fatto ricorso per la prima volta ai servizi sanitari digitali (dieci punti percentuali in più rispetto a Parigi e Berlino). I dati possono essere interpretati in due direzioni: il distacco dagli altri Paesi certifica da una parte quanto gli italiani si siano avvicinati ai servizi online; dall’altra lasciano ipotizzare una condizione di partenza più arretrata.

Le ansie della digitalizzazione

La digitalizzazione, al netto dei suoi benefici, non è un processo indolore. Si sono amplificate ansie e timori legati all’utilizzo della tecnologia. La questione della privacy rappresenta la fonte di angoscia primaria tra gli utenti: rispetto al pre-pandemia, il 37% degli italiani afferma di essere più preoccupato sulla riservatezza dei propri dati. Il 66% sostiene di essere estremamente prudente nel condividere informazioni personali online. Il dato è superiore rispetto a quello della Germania (61%) ma inferiore rispetto a Francia (73%), Stati Uniti (72%) e Gran Bretagna (71%). Anche in questo caso, le percentuali vanno soppesate: la prudenza deriva da una percezione, che non sempre corrisponde a una condotta realmente virtuosa, specie se in assenza di alfabetizzazione digitale. Allo stesso modo, una maggiore preoccupazione sulla gestione dei propri dati non è, di per sé, una cattiva notizia: potrebbe essere generata da una maggiore consapevolezza.

Malessere digitale

Sono sempre di più gli utenti che si dicono preoccupati per l’impatto dell’uso delle tecnologie sul “benessere digitale”. Un italiano su due sostiene di attribuire maggiore attenzione alle conseguenze dell’utilizzo diInternet sul proprio benessere psicofisico rispetto a quanta ne prestasse prima del Covid-19. Il 52% cerca di ritagliarsi dei momenti da trascorrere lontano dal proprio smartphone e il 39% pensa di passare troppo tempo davanti agli schermi elettronici presenti nella propria abitazione.

Lo streaming supera le pay tv

Sin dalle prime settimane di pandemia, il traffico di dati ha fatto segnare un picco, causato soprattutto da videogiochi e da altri contenuti in streaming. Se molti utenti stavano già migrando dai canali tradizionali a quelli online, con la pandemia lo streaming è diventato un affare di famiglia. L’attrazione delle piattaforme online è tale che la maggioranza degli intervistati (60%) ritiene un abbonamento a un servizio di streaming più importante rispetto a quello di una pay tV. Una convinzione che in Italia è ben più forte rispetto a Germania (46%) e Francia (41%). Restano però alcune criticità. Il 42% degli intervistati considera la pubblicità in rete più intrusiva rispetto a quella televisiva e il 39% degli utenti tra i 18 e i 24 anni si dice disposto a pagare un extra pur di eliminarla. Attenzione anche all’effetto abbuffata: l’abbondanza di contenuti offerti dai servizi di streaming non viene considerata un punto di forza. Anzi: per il 28% degli intervistati è un fattore di frustrazione che non permette di rintracciare con facilità i contenuti preferiti. Un dato coerente con un altro: il 40% è convinto di pagare troppo per contenuti che non vuole o di cui non ha bisogno.

Rete fissa, cercasi trasparenza

Il 61% degli utenti ritiene che la trasparenza, soprattutto nei piani tariffari, sia il requisito principale quando si tratta di scegliere il proprio fornitore di servizi di rete fissa. Subito dopo, nella lista delle priorità, seguono la velocità della rete (59%) e la qualità del supporto tecnico (44%). L’eccessiva complessità delle informazioni intrinseche nelle offerte e nei servizi di rete fissa rappresenta il fattore di maggior vulnerabilità che rende difficoltosa l’esperienza dei clienti in questo settore. Tant’è che per il 27% dei consumatori non vale la pena cambiare operatore di rete fissa considerando il tempo e lo sforzo necessari.

Prezzo e pacchetti: cosa guardano gli utenti

Il prezzo allora non conta? Tutt’altro. Proprio perché i consumatori non riescono a percepire le reali differenze tra i servizi offerti (un italiano su quattro non conosce la massima velocità della propria connessione e meno della metà si dichiara consapevole dei benefici offerti dalle tecnologie di rete fissa), alla fine si gioca tutto sul prezzo.

Così – sottolinea il report – gli operatori cercano di ampliare la propria base clienti applicando sconti tramite la vendita congiunta di più servizi. Già il 25% degli intervistati dispone infatti di un abbonamentoInternet che tiene insieme rete fissa e mobile, ed il 49% sostiene che prenderà presto in considerazione questa opzione. Inoltre, il 52% degli utenti ritiene di poter ottenere un risparmio considerevole tramite acquisti bundle “rete fissa e mobile” da uno stesso operatore. Un utente su tre è interessato a offerte specifiche di connettività per il lavoro agile o per la didattica a distanza. Uno su due gradisce l’abbinamento rete fissa-pay tv, il 30% guarda a offerte che integrino pacchetti fitness-salute-benessere e il 28% è attratto da proposte di connettività fissa complete di prodotti per videogiochi eeSport.

Telefono batte chat 

Oggi c’è la possibilità di interagire con i propri fornitori attraverso diversi canali digitali. Il 44% degli italiani, però, preferisce ancora presentarsi fisicamente nei punti vendita per acquistare un servizio di rete fissa, contro un 40% che preferisce utilizzare il canale digitale. Restano però i call center, utilizzati da un italiano su due, la via più battuta per contattare il proprio fornitore.

Il 5G in casa

Vista sul 5G. La quinta generazione della telefonia mobile comincia ad essere percepita come un valido sostituto della rete domestica da una fetta rilevante di consumatori. Il 24% degli intervistati indica infatti come vantaggio principale del 5G quello di poterlo utilizzare anche come primaria connessioneInternet di casa. 


Così la pandemia ha fatto crescere la domanda di servizi digitali

Siete pronti per il nuovo Happy Friday? Potete scegliere tra quattro abbonamenti gratuiti a riviste digitali (foto)

La settimana volge al termine e siamo di nuovo a venerdì, dunque torna il consueto appuntamento con Happy Friday per i clienti Vodafone iscritti al programma di fidelizzazione Vodafone Happy.

Per l’Happy Friday di oggi, quello del 10 aprile, Vodafone propone ai suoi clienti un abbonamento gratuito a una delle quattro alternative che trovate di seguito:

  • 1 anno di abbonamento all’edizione digitale di Cosmopolitan.
  • 6 mesi di abbonamento all’edizione digitale di Elle.
  • 6 mesi di abbonamento all’edizione digitale di Gente.
  • 1 anno di abbonamento all’edizione digitale di Marie Claire.

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Il coupon per il riscatto dell’abbonamento gratuito può essere selezionato entro la mezzanotte di oggi, 10 aprile, e usato entro il prossimo 30 aprile mediante la sezione dedicata nell’app per dispositivi mobili MyVodafone.

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