Samsung presenta il primo display OLED al mondo con sensore di impronte digitali e pressione sanguigna integrato

Samsung ha svelato quello che potrebbe essere il display OLED su un futuro iPhone.

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Samsung presenta il primo display OLED al mondo con sensore di impronte digitali e pressione sanguigna integrato

Questa app modificata rimuove le limitazioni di ECG e pressione sanguigna su Galaxy Watch 4 (video)

Tra i sensori a bordo dei nuovi Galaxy Watch 4 presentati da Samsung troviamo anche quello per la pressione sanguigna e per effettuare un ECG: questi però funzionano in accoppiata con l’app Samsung Health Monitor, che permette di effettuare le misurazioni e di sincronizzare il tutto con lo smartphone. Quest’ultimo deve essere necessariamente un Samsung (e non deve avere i permessi di root).

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Un’altra restrizione di queste due funzioni riguarda l’età: per effettuare le misurazioni l’utente deve avere almeno 22 anni e inoltre deve trovarsi in una zona del mondo in cui Samsung ha abilitato le funzionalità appena descritte. Fortunatamente c’è un modo per effettuare ECG e misurazione della pressione sanguigna su qualsiasi dispositivo Android e senza le restrizioni di età e regione geografica.

Esiste infatti una versione modificata dell’applicazione Samsung Health Monitor che gira su qualsiasi smartphone Android: l’installazione è semplice ma necessita qualche passaggio in più che è comunque descritto nel video che trovate in basso o su questa pagina. Gli sviluppatori sono ancora al lavoro e perciò al momento non è possibile sincronizzare i dati di Samsung Health tra il telefono e Galaxy Watch 4 automaticamente ma questi dovranno essere copiati manualmente. È inoltre  possibile che l’app si arresti in modo anomalo al primo avvio o dopo l’installazione.

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Questa app modificata rimuove le limitazioni di ECG e pressione sanguigna su Galaxy Watch 4 (video)

Tanta pressione sulla rete Internet. E lo smart working non c’entra

Capita che gli adolescenti, nel giro di un anno, guadagnino dieci centimetri d’altezza e qualche misura di scarpe. Nuove taglie, nuovi vestiti. Ora immaginate se anziché impiegarci mesi, vostro figlio o vostro nipote crescesse così nel giro di una notte. Sarebbe un bel problema. È quello che si sono ritrovati ad affrontare gli operatori di tlc italiani. Complice la quarantena, martedì 10 marzo il traffico registrato da Fastweb è passato dai consueti 2,5 terabyte al secondo a 3,2 terabyte al secondo. Quasi il 30% in più, una “crescita che di solito si registra lungo un anno intero”, spiega il cto Andrea Lasagna.

I motivi del picco: giochi e streaming

“A partire da martedì – afferma Lasagna – abbiamo rilevato un aumento del traffico”. L’impennata di martedì è stata una combinazione di fattori. Da una parte la progressiva estensione della quarantena, dall’altra il rilascio di un titolo molto atteso dai videogiocatori, Call of Duty Warzone, che ha consumato parecchia banda. Ma non è stato un episodio. “Nei giorni e nelle ore successive, il traffico è calato ma resta molto sostenuto”, con picchi “attorno ai 3 terabyte al secondo”. Cioè con un incremento che resta oltre il 20% rispetto alle settimane precedenti. “È qualcosa di eccezionale”.

“Lo smart working non è un problema”

Fastweb ha osservato non solo un aumento del traffico, ma anche una modifica della sua composizione. E lo smart working non c’entra quasi nulla. Il lavoro da casa ha sì avuto un impatto, ma molto più gestibile: nelle ore lavorativa, spiega Fastweb, l’incremento è stato del 5-10%. E per di più non è un aumento circoscritto alla sola attività degli occupati. Con la chiusura di scuole e università, in quelle ore a casa ci sono anche i figli. Questo, afferma Lasagna, dimostra che “lo smart working non è un problema”. Almeno per le reti. “Anche se spesso si utilizzano video e streaming, gli strumenti per lo smart working hanno una codifica spinta e utilizzano poca banda”.

Il traffico osservato nelle ore lavorative “non è paragonabile con quello della sera”. Insomma: a mettere pressione non è l’ufficio in casa ma videogiochi e piattaforme di streaming. È un’ulteriore dimostrazione, afferma il cto di Fastweb, che “le persone stanno davvero in casa”. E dalle 18 in poi consumano più banda, guardano film e giocando online. “Avere un’infrastruttura che vale aiuta le persone a non uscire”.

Le contromisure

È chiaro quindi che la rete sia “sotto stress”. Ma “ha reagito bene”. Fastweb spiega di essersi mosso “già nei giorni prima del picco”, avviando “un ampliamento fisico della capacità della rete”, in modo da evitare rallentamenti anche in momenti di forte pressione. In pratica, la famiglia ha comprato magliette e scarpe per quell’adolescente cresciuto in fretta. L’operatore ha tenuto botta anche grazie alla “capacità residua” a disposizione (cioè le maglie avanzate del fratello più grande). Il piano di ampliamento della capacità sta proseguendo perché il traffico resta elevato e si attende prosegua a questi livelli anche nelle prossime settimane.

Coronavirus,​​ digital divide, lavoro

Quello di un lavoro da remoto efficace non è “un tema di reti quanto di strumenti adeguati e di organizzazione aziendale”. Almeno nelle zone coperte da infrastrutture più evolute. La rete che regge è una questione in parte distinta dal divario digitale, che nel Paese resta forte. Secondo gli ultimi dati dell’Agcom, il 5% delle famiglie non è raggiunta dalla banda larga di rete fissa e una su tre può ambire al massimo a una velocità in download di 30 Mbps. Per Lasagna, la clausura forzata comporterà “un’accelerazione”: “Ha fatto capire che le tlc non sono solo un cavo ma sono abilitatori della trasformazione digitale. E che non si può fare a meno di una connessione casalinga”. Per guardare, giocare, lavorare. Dopo l’emergenza, una parte degli italiani forse rivaluterà l’ufficio. Ma ci saranno anche aziende che capiranno come “si possano affrontare tipologie di lavoro in modo differente”.  

Blocchi e lavoro da casa: VPN raddoppiate

Che le persone siano in casa lo confermano anche i dati di Atlas VPN. Nella settimana tra il 9 e il 15 marzo, l’utilizzo di VPN (reti virtuali private) in Italia è più che raddoppiata (+112%). Perché l’incremento è legato alla quarantena? Le VPN servono per offrire una navigazione sicura o per aggirare i blocchi. Con la clausura, spiega Atlas, è probabile che gli utenti abbiano deciso di utilizzarle per entrambi gli scopi. Molti servizi di streaming (come Netflix) hanno restrizioni geografiche. Alcuni contenuti, ad esempio, sono visibili negli Stati Uniti ma non in Italia. È quindi probabile che la corsa alla VPN sia dovuta alla volontà di “mascherarsi” per eludere la localizzazione. L’altro carburante per l’accelerazione è arrivato dallo smart working. Se un dipendente o un collaboratore deve collegarsi da casa alla rete aziendale e trattare file sensibili, ha bisogno di una connessione più sicura. E quindi di una VPN.       

Agi